© Carlotta Coppo
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A Milano la mostra dedicata al concetto artistico e fenomeno ideologico e al suo inventore
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L'Art Brut nacque nella Parigi postbellica lontana da musei d'arte e salotti bene. È un'arte grezza e non filtrata, quindi rivoluzionaria per come nasce dall’istinto, dall’espressione incontaminata, che non si preoccupa delle regole, delle tecniche accademiche o delle convenzioni. Tutti significati in cui si identificava il suo inventore, Jean Dubuffet. La mostra “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”, al Mudec di Milano fino al 16 febbraio 2025, è stata appositamente concepita per il Museo delle Culture, vuole portare in Italia un progetto espositivo che racconti al pubblico la potenza espressiva dell’Art Brut, da cui hanno tratto ispirazione molti artisti contemporanei e che continua oggi a essere essenziale, nella convinzione che l’arte sia per chiunque abbia una voce da far risuonare attraverso la necessità vitale di esprimersi.
Jean Dubuffet iniziò a collezionare opere di artisti non professionisti, autodidatti e di persone spesso ai margini della società che riuscivano, senza filtri culturali e preconcetti artistici accademici, ad andare oltre le convenzioni raccontando sé stessi e il mondo attraverso l’illustrazione di idee non convenzionali e di mondi di fantasia elaborati. Artisti che creavano solo per sé stessi, alla ricerca di una libera espressione e libera tecnica, utilizzando materiali e materie prime che casualmente avevano sottomano e servendosi così, inconsciamente, di mezzi artistici nuovi, non tradizionali e non codificati, fuori dagli schemi. Una presa di posizione radicale di Dubuffet contro il sistema dell’arte, lontano e a margine sia dai centri dell’arte tradizionale sia dai centri delle avanguardie. Grazie alla donazione della sua collezione, iniziata nel ’45, alla Città di Losanna, la Collection de l’Art Brut a Losanna è stata inaugurata nel 1976 e ancora oggi continua ad arricchirsi di nuove opere, oggi le istituzioni pubbliche, le collezioni private, le gallerie, le fiere e le mostre dedicate a questa forma d’arte si sono moltiplicate.
Nel corso della sua carriera professionale di artista, iniziata relativamente tardi (alla fine del 1944 con la sua prima mostra personale), il francese Jean Dubuffet (1901-1985) coltiva un'ossessione radicale per la creazione libera dalle norme e dai precetti della cultura artistica, che considerava asfissianti. Era affascinato da quelle creazioni che riuscivano a essere meno intaccate dalla cultura artistica delle scuole, delle accademie e dal mercato dell'arte. Fin dall'autunno del 1944, Dubuffet cerca ogni tipo di documento che possa testimoniare quella che rimane la sua affermazione più forte, programmatica di tutta la sua opera, che nel 1946 condensa in una frase: “Tout le monde est peintre”, “Ognuno è pittore”. Dubuffet crede che "La vera arte è sempre dove non ci aspettiamo di trovarla"; egli cerca fuori dai circuiti tradizionali e istituzionali le tracce di una creazione che definisce con un ossimoro, intrecciando due nozioni antitetiche fino all'indistinzione: Art Brut. E cerca di definirla: “Con questo intendiamo un'arte di opere eseguite da persone prive di cultura artistica, nella quale quindi il mimetismo, contrariamente a quanto avviene tra gli intellettuali, ha poca o nessuna parte, sicché i loro autori attingono tutto (soggetti, scelta dei materiali utilizzati, dei mezzi di trasposizione, dei ritmi, dei modi di scrivere, ecc.) dal proprio background e non dai cliché dell'arte classica o dell'arte à la mode”.
Da questo concetto fondamentale, alla base dell’Art Brut, si può dunque comprendere l’allargamento e l’interesse di Dubuffet nei confronti di tutte le scienze umane e sociali (come antropologia, etnografia, studio del folklore e ancora psichiatria, psicologia, pedagogia) che potessero aiutarlo a portare avanti le sue indagini per capire al meglio l’uomo e il filo invisibile che connette ognuno di noi al concetto di arte pura. Dubuffet mobilita, quindi, un’ampia rete di cooperazione. Si interfaccia continuamente con etnografi, psichiatri e altri studiosi dell'alterità artistica. In Svizzera, nell'estate del 1945, Dubuffet incontra il direttore del Museo etnografico di Ginevra, Eugène Pittard, e gli alienisti Charles Ladame e Walter Morgenthaler. A Parigi, i suoi rapporti con Charles Ratton e Jean Paulhan gli aprono le porte del Musée de l’Homme. Dubuffet parla lì con l'oceanista Patrick O'Reilly, attirando la simpatia di Claude Lévi-Strauss e Georges Henri Rivière del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari. Frequenta anche surrealisti come André Breton e Paul Eluard. Attraverso le sue ricerche e durante i suoi viaggi - dal Sahara alla metropolitana di Parigi - e nelle sue opere, rielabora in una nuova ottica estetico-artistica le nozioni di ‘vicino’ e ‘lontano’, affinando così le sue concezioni artistiche, supportate dal proprio lavoro di artista e dalle sue collezioni. Le opere della sua biblioteca testimoniano la sua curiosità e i suoi album fotografici l'esercizio dello sguardo, le sue lettere parlano di uno spirito critico. Questo lavoro costante di ricerca gli permetterà di chiarire cosa egli intendeva per Art Brut così come lo incoraggerà a prendere le distanze dal concetto di “arte primitiva” o addirittura dalla definizione di “arte degl’insani”.
L'arte di Dubuffet è caratterizzata da un contrappunto e da una vera e propria cultura del paradosso; non si lascia mai rinchiudere in formule collaudate, oscilla tra un materialismo manifesto e un'alta concettualità, fa dell'eterogeneità e della diversità una condizione della sua esistenza. Così, per quasi quattro decenni, una serie si è susseguita all'altra, combinando, a volte contemporaneamente, l'elogio di una figura umana archetipica e la celebrazione della materia nel suo stato più elementare, l'apologia del visibile e la celebrazione dello spirito, con l'Art Brut come orizzonte della vera creazione.
“Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”, prodotta da 24 ORE Cultura -ruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura con il patrocinio del Consolato Generale Svizzera a Milano e che vede come Institutional Partner Fondazione Deloitte, è in collaborazione con la Collection de l’Art Brut, Lausanne, che possiede una straordinaria raccolta di oltre 70.000 opere di Art Brut nata dal nucleo storico raccolto da Dubuffet e donato alla Città di Losanna nel 1971. Disegni, dipinti, sculture e opere tessili, che crescono ancora oggi grazie ad acquisti e donazioni. Dal museo svizzero provengono più di 70 opere esposte, tra cui alcune opere “storiche” appartenenti al nucleo della collezione, come le magnifiche composizioni di figure maggiori svizzere dell’Art Brut, quali Aloïse Corbaz e Adolf Wölfli, insieme a sculture di Émile Ratier e a dipinti di Carlo Zinelli (l’autore italiano d’Art Brut più celebre). La mostra è curata da Sarah Lombardi, direttrice della Collection de l’Art Brut, Losanna e da Anic Zanzi, conservatrice alla Collection de l’Art Brut, Losanna, e per la sezione dedicata a Jean Dubuffet da Baptiste Brun, docente e curatore esperto di Jean Dubuffet. L’esposizione propone un percorso quadripartito.
La sezione dedicata a Dubuffet nella mostra del Mudec presenta un’ampia panoramica del suo lavoro di artista, 18 tra dipinti, disegni, e sculture prodotti tra il 1947 e il 1982 e provenienti da prestigiose collezioni come il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, il Musée Cantonal des Beaux-Arts di Losanna o ancora la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma- insieme a un corpus di materiale documentario (libri, cataloghi, lettere, manifesti e fotografie) che introducono il visitatore alla seconda sezione, dando un'idea della eterogeneità degli stili e della portata del lavoro svolto da Dubuffet per scovare e valorizzare gli autori di Art Brut e le loro opere, che egli non smise mai di collezionare.
La raccolta storica di Dubuffet, poi donata nel 1971 alla Collection de l’Art Brut di Losanna, è frutto di un viaggio di ricerca iniziato in Svizzera e in Francia nel 1945, poi proseguito in altri Paesi. La storia personale e il rapporto con la società hanno profondamente influito e caratterizzato la produzione artistica di questi autori, i quali creavano senza preoccuparsi né del giudizio del pubblico né dello sguardo altrui. La seconda sezione ospita le composizioni delle figure più importanti e storiche dell’Art Brut. Aloïse Corbaz, internata in un ospedale psichiatrico, inizia a disegnare e a scrivere segretamente, utilizzando materiali insoliti come petali di fiori e foglie schiacciate. La sua opera è una cosmogonia personale, popolata da figure principesche e temi festivi. Carlo Zinelli, le cui gouache, con figure umane stilizzate e dettagli anatomici, sono un viaggio nella sua mente complessa e affascinante. Adolf Wölfli, colorista geniale e autore di un’opera colossale, con 25mila pagine di composizioni grafiche a pastello, collage, creazioni letterarie e partiture musicali. Emile Ratier, artista cieco che – spinto dall’esigenza di “vedere” in maniera alternativa - crea sculture mobili animate con manovelle e meccanismi sonori, scolpendo il legno, sua grande passione. I rumori e i cigolii guidano la sua finitura, mentre i soggetti delle sue opere spaziano da carri e giostre ad animali.
In queste due sezioni viene presentato un insieme di opere provenienti dai cinque continenti il cui focus è legato alle tematiche delle credenze e del corpo. Cercando spiegazioni sui fondamenti dell’essere, sulla vita e sulla morte nonché sul proprio destino individuale, gli autori d’Art Brut non trovano risposte a priori nei dogmi usuali, oppure, a volte, se ne riappropriano reinterpretandoli. Marie Bouttier, il cui fortissimo interesse per l’occulto a sessant’anni la stimola – durante momenti di trance medianica - a realizzare disegni automatici a matita che ritraggono strane creature dalla forma indistinta, in cui fogliame e vari motivi vegetali si confondono e si trasformano in insetti, pesci o larve. Giovanni Battista Podestà, profondamente segnato dalla religione cattolica, è pervaso da una visione manichea dell’esistenza e sente il dovere di denunciare la corruzione sociale, mentre Madge Gill, così come altri, crede in relazioni durevoli con i defunti e affida la responsabilità del proprio lavoro artistico a un’entità altra, lasciando che la sua mano venga guidata da ciò che gli spiriti le dettano. Tra le molteplici rappresentazioni della tematica del corpo, e i significati che queste hanno per gli autori d’Art Brut, in mostra i lavori della cinese Guo Fengyi illustrano i fluidi che lo attraversano, mentre quelli di Giovanni Bosco svelano anatomie frammentate; il maschile e il femminile si coniugano nei disegni di Giovanni Galli, mentre Sylvain Fusco evoca il corpo dal punto di vista dell’erotismo e del piacere carnale.