L'intervista

"Oltre il caschetto biondo", Roberto Mancinelli racconta Raffaella Carrà

Torna nelle librerie il "Raffabook", scritto a quattro mani con Fabio Canino: più che una biografia, uno show del sabato sera 

08 Ott 2021 - 15:23

Quel casquet in solitario aveva già detto tutto. Emancipazione e sensualità in una mossa sola. E’ il 1978, l’economia cresce a ritmi impensabili, si fuma dappertutto con addosso giubbotti scamosciati e intanto i Bee Gees alla radio cantano in falsetto "Staying Alive". C’è il terrorismo, l’arte povera, il volantinaggio davanti alle fabbriche, e c’è Raffaella Carrà che su Rete 1 canta “Tanti Auguri” facendo un casquet a ritmo di musica senza aver bisogno che un uomo la sorregga. Una donna difficile da inquadrare da ferma, perché sempre in movimento. Forse una donna difficile proprio da inquadrare: un’educatrice sentimentale che istiga all’emancipazione, un’equilibrista tra dolorismo e paillette, più di una cantante, non solo una showgirl. Roberto Mancinelli e Fabio Canino nel "Raffabook", edito Mondadori nel 2006 e ristampato nel 2021, non la vogliono inquadrare, ma mostrare. Un libro fatto di immagini, testi di canzoni, aneddoti. Più uno show che una biografia, per raccontare la storia della donna che alla fine il mondo un po’ più là l’ha spostato lei.

Per capire meglio abbiamo intervistato Roberto Mancinelli, co-autore di Raffabook, editore musicale, vincitore del Fim Award nel 2015, uno di quelli che non percepisce un reale confine tra vita e lavoro, “perché ho la fortuna di fare quello che amo: è un mestiere all inclusive ed è per sempre”, un po’ come per Raffaella Carrà. 

Partiamo dall’inizio. Come nasce "Raffabook"? 

Dall’amicizia in quegli anni tra me e Fabio Canino, e ovviamente dalla passione comune per Raffaella. Abbiamo tradotto nel libro il nostro modo di comunicare, io apparentemente il più serio, quello tecnico - ride (ndr ) - Fabio più avvezzo al mondo dello spettacolo. E infatti lui aveva ed ha uno spettacolo in teatro proprio intitolato “Fiesta” e che manco a dirlo è totalmente pensato in omaggio a lei. Nasce per gioco, una sera in cui ci siamo detti, sai che si può fare un libro? E decidiamo di impostarlo più come una scaletta di un programma televisivo e dissacrare un po’ anche il concetto di fan che pone il suo mito sul piedistallo, gli eccessi legati al culto per un artista li prendiamo anche un po' bonariamente in giro. E’ un omaggio divertito alla Carrà legato ai ricordi di tutti noi.

Ma te la ricordi la prima volta che l’hai vista in Tv?

Sì, credo fosse il '74, io ero piccolissimo, avevo quattro anni. Mi ricordo “Mille luci” sullo schermo del televisore nel salotto di casa, hai presente? La classica scena della famiglia italiana che la sera si riunisce a guardare la tv. Io rimasi folgorato da Raffella, mi piaceva così tanto, tanto che rimanevo incollato fino alla fine, solo dopo la sigla riuscivano a mettermi a letto. Ero già cocciuto e le mie sorelle mi prendevano in giro. 

Però dal vivo non l’hai mai conosciuta.

Ci sarebbe voluto niente, forse il subconscio, non so, mi ha guidato. In un certo senso ho voluto proteggerla, lasciarla lì, con il piacere di preservare la distanza tra me e il mito. Lei doveva restare quella della scatola televisiva e del mio amore di bambino.

Roberto Mancinelli è anche e soprattutto un editore musicale e qua mi rivolgo a lui in qualità di esperto. La Raffella cantante: un successo, perché?

Canzoni semplici, o meglio, canzoni che sembravano semplici ma non lo erano per nulla. Un po’ come lei. Da esperto del settore ti direi catchy, non so nemmeno come tradurlo bene, ma quei pezzi erano inni, includevano messaggi importanti sull’inclusività e avevano ed hanno la rara capacità di fissarsi nella mente dell’ascoltatore, e infatti sono entrati nell’immaginario collettivo. Fare del buon pop , da popolare, appunto, non è semplice come può apparire.

E hanno fatto il giro del mondo.

Sì. Ora tutti si stupiscono del successo dei Maneskin oltre confine, anche se ovviamente loro sono rock, e in precedenza di pochi altri italiani ci sono riusciti soprattutto dagli anni ’90, ma se ci pensi la Carrà l’aveva fatto ben prima, in Giappone o in Sud America, quando doveva uscire camuffata con i cestini della biancheria addosso per nascondersi dai fan, ah il divismo dell'America latina! Ma anche nel campo della moda ha fatto clamore. Sai qualche tempo fa vivevo a New York, e ne parlavo con l'entourage di Lady Gaga, che è molto apprezzata per i suoi costumi eccentrici. E’ difficile pensare che, anche un po’ per le sue origini italo-americane, non abbia preso spunto da Raffaella

E infatti Raffaella è un classico. Calvino dice che un classico è qualcosa che non ha mai finito di dire quel che ha da dire, Raffaella lo è, ma perché secondo te?

Per tanti motivi, e per questo ti rispondo in prima persona da lavoratore del mondo dello spettacolo. Anche per andare oltre e non rimanere fermi all’immagine iconica del caschetto biondo abbinato al sorriso smagliante. Raffaella era una che entrava in sala prove e non usciva finché tutto non era perfetto. Stacanovista, metodica, perfezionista. Se non sei così quel lavoro non lo fai. Oggi abbiamo tutto e questo potrebbe diventare un problema. Avere più mezzi richiede una dedizione ancora maggiore, perché bisogna saperli usare, ma il rischio è che ci si sieda sulle comodità che disponiamo. Raffaella rimarrà un esempio di professionalità, un testimone che bisogna raccogliere. Fare spettacolo, farlo bene, è anche un modo per rispettare il pubblico. 

Ci salutiamo con uno spoiler? Un aneddoto del libro raccontato da te.

Su due piedi ti direi Frank Sinatra. La sai che ha corteggiato Raffaella? Lei ha detto di no al grande conquistatore italo americano dall'occhio azzurro e dal get down. E se ne tornò a casa con la madre.

Una diva immune al divismo.

Beh, Raffaella è anche questo. 

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