Tgcom24 ha intervistato l'artista in vista della sua prossima performance milanese
"Cadi, combatti e ti rialzi. E' così che funziona la vita". L'ha imparato bene Omar Hassan, uno che picchia forte. Sia sul ring, che sulla tela. A quattordici anni ha comprato i primi guantoni da boxe, a sedici ha iniziato a disegnare all'ultimo banco. Adesso che ne ha 29, è riuscito a fare di queste due passioni un'arte. Con la tuta imbrattata di tempera si racconta nel suo piccolo studio a Pioltello, nella periferia est di Milano. E' in questo seminterrato che, tra latte piene di colori acrilici, bombolette spray e pannelli di fibra, vengono fuori le opere che l'hanno reso famoso. Quelle che dipinge a colpi di guantoni intrisi di pittura, boxando con la tela. Quelle che lo hanno reso consapevole di essere "un artista", prima che un pugile. Aspettando la sua prossima peformance, il prossimo 28 settembre all spazio Mac di Milano, Tgcom24 l'ha intervistato.
Picasso diceva che uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente. E' per questo che prendi a pugni le tue tele?
Io amo il pugilato. Credo sia la metafora di vita per eccellenza, ti educa come uomo. Sei da solo sul ring, devi combattere e quando cadi devi rialzarti. Essendo diabetico non ho potuto praticarlo a livello agonistico, ma ho voluto celebrare l'aspetto concettuale di questo sport attraverso l'arte.
Usando i guantoni al posto dei pennelli?
E' il mio mezzo espressivo, la tecnica che mi permette di unire armonicamente forma e concetto raggiungendo un buon risultato finale. Quando ho finito gli studi all'Accademia di Brera ho preso coscienza di una cosa che già sentivo dentro: artista ci nasci, devi solo scoprirlo.
Io ho scoperto che le tue opere sono abbastanza quotate.
I dipinti dai 7 mila ai 35 mila euro. Le sculture da 8 mila a 40 mila euro. La Galleria Contini art UK di Londra mi ha dato la possibilità di fare una mostra personale che, oltre a farmi conoscere anche all'estero, ha contribuito ad alzare la quotazione delle opere.
Ma dimmi: quando sei davanti al pannello, con il colpo pronto, a cosa pensi?
A picchiare la tela con foga, come se fosse un sacco da boxe. E' come se stessi sul ring, a cambiare sono solo le sensazioni. Nella prima serie di lavori che ho fatto, quella dei Breaking through, ho dipinto d'impatto, irrazionalmente. I colori invece non sono utilizzati a caso: scelgo sempre una scala cromatica e poi, proprio come si fa nel pugilato, colpisco proprio laddove deve finire la tempera. Ogni pugno, mille schizzi.
Ecco perché questo studio è così imbrattato.
Ogni volta che dipingo è un delirio, nella foga bevo almeno metà del colore. Per questo utilizzo sempre colori acrilici.
E a chi ti ispiri?
Il mio idolo è Pollock, ma ci sono anche diversi artisti concettuali a cui faccio riferimento. Uno di questi è Alberto Garutti, che è stato anche mio professore in Brera. Avendo avuto modo di viaggiare tanto e confrontarmi con altri artisti, mi sono fatto un'idea: gli italiani hanno una marcia in più a livello culturale. Respirano e crescono in un paese bellissimo come l'Italia, dove l'arte esiste per davvero.
Gli altri artisti cosa pensano di te, che sei anche un pugile? Sminuiscono il tuo lavoro?
Le invidie ci sono, come in tutti gli altri ambienti. Ma male non fare e paura non avere. Io le soddisfazioni me le prendo, e anche doppie.
E i pugili?
Da parte loro ho grande rispetto, sanno che ho sempre praticato questo sport e il motivo per cui non ho potuto farlo a livello agonistico. Per 3-4 anni ho anche allenato dei ragazzi, ma adesso frequento molto meno le palestre perché sono al cento per cento sui miei quadri.
Ti senti più artista o più pugile?
Il pugno del primo è colorato, quello del secondo fa un po' più male...