Pasolini, la scena e i reperti del delitto
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Simona Zecchi ripercorre le tappe di un delitto irrisolto, citando documenti inediti e rivelazioni spiazzanti
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Sono passati cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini e 47 dalla sua tragica e cruenta morte sul lungomare di Ostia. E a 47 il morto parla ancora, nonostante un'inchiesta spezzata e ridotta in frammenti sepolti, nascosti, censurati da un sistema di depistaggi e manipolazioni delle indagini. La definizione riprende il titolo di un libro recente e necessario, L'inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini scritto da Simona Zecchi, in cui sono stati svelati particolari inediti di un delitto che continua a sanguinare, di un’indagine mai seriamente condotta, tantomeno conclusa. La Strage di Piazza Fontana, il Vaticano, la Democrazia Cristiana, Ordine Nuovo: il poeta aveva avuto accesso a documenti segreti. Pasolini sapeva e per questo è stato ucciso. D'altronde fu lui stesso a scriverlo, con quella sua sprezzante capacità profetica da oracolo ellenico, un anno prima del massacro del suo corpo: "Io so, ma non ho le prove". L'articolo pubblicato il 14 novembre 1974 sul Corriere della Sera, forse il suo più conosciuto, fece ovviamente scalpore e, come vento freddo, fece ondeggiare i rami più alti dell'albero politico italiano. Le parole che usò lo scrittore non erano fraintendibili, specialmente dai "diretti interessati".
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"Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974)".
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Il delitto - La notte fra l'1 e il 2 novembre 1975, il Giorno dei Morti per un'affatto casuale coincidenza, l’intellettuale è stato condotto all'esecuzione in un luogo isolato in un periodo in cui stava ricevendo gravi minacce, con un pretesto: il furto delle ultime scene del suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, e di altre pellicole. La costruzione di quel pretesto ha coinvolto diverse persone provenienti da diversi ambienti, dalla criminalità all'estremismo di destra, servendosi di un’esca umana insospettabile, finita con l'essere identificata in maniera totalizzante col delitto Pasolini: l'allora minorenne Pino Pelosi, detto "la rana", riconosciuto con sentenza definitiva come il colpevole dell'assassinio. In primo grado è stato riconosciuto "l'omicidio volontario in concorso con ignoti", prima del colpo di spugna della Corte d'Appello, la quale ha ritenuto "estremamente improbabile, per tutte le cose dette, che Pelosi possa avere avuto uno o più complici". L'omicidio passò dunque come l'epilogo di "una classica lite tra omosessuali e prostituti". Le indagini successive hanno però rivelato un coinvolgimento più ampio, che su quel lido di Ostia ha portato 13 persone in tutto, carnefici e testimoni attivi del martirio di un poeta reo di aver brillato troppo della luce della propria onestà. Ma mandati da chi?
L'inchiesta del libro si ramifica in due parti: la ricerca del movente dell’omicidio, del perché, e la continuazione dell’inchiesta “spezzata” che ha probabilmente condotto Pasolini alla morte. Questa inchiesta riguarda la strage di Piazza Fontana avvenuta il 12 dicembre 1969. Ci si sposta dalla struttura dell’attentato, dalle bombe, da quella che viene definita “concretezza delle cose” a un aspetto molto più delicato: chi ha finanziato quegli attentati? La Zecchi condanna quella che è la ricerca di una verità parziale da parte del giornalismo, una sorta di pigrizia intellettuale e investigativa che ha lasciato culturalmente indifeso un personaggio come Pasolini. Entrambe le parti portano poi alla strage di Piazza Fontana (e al più ampio sistema di destabilizzazione per la stabilizzazione che nel libro indico anche in uno schema, per i più giovani anche più facile da comprendere credo) e vedono il coinvolgimento di parti americane, Vaticano e DC. È insieme anche una riflessione politica e giornalistica dell’uso del fango sparso su Pasolini e svela importanti novità sulla complicità e i silenzi del PCI. L’inchiesta sui finanziamenti ricostruisce e svela una parte mai approfondita dagli inquirenti né dalla magistratura (solo il povero giudice Emio Alessandrini lo fece ma fu poi costretto ad archiviare nel passaggio del processo da Milano a Catanzaro) e spiega i movimenti finanziari sottobanco nel portare verso di loro lauti guadagni e insieme servire l'anticomunismo che ovviamente al tempo era “lo sport” più praticato.
La violenza tribale, il Potere che tutto muove, Roma, un ragazzo di vita, l'omosessualità, l'aggressione da parte di fanatici neofascisti: la meccanica dell'uccisione di Pasolini sembra proprio uscita dalla sua penna. La vicenda che ha condotto poeta e carnefici a quel terribile hic et nunc, invece, è George Orwell che incontra Dan Brown. In un intreccio marcio che lega strategia della tensione ed élite politica e culturale italiana, il mondo editoriale della sinistra extraparlamentare e la destra finanziaria.
La pista della criminalità calabrese - Il lavoro di Simona Zecchi introduce un'importante novità in quest'ottica: la componente della criminalità organizzata calabrese, che nel caso Moro è stata così importante. Qui fa capolino, per quanto ho potuto ricostruire, all’interno di un episodio molto importante: nello spazio di tempo che intercorre tra l’attentato alla Sip avvenuto vicino all'abitazione dello scrittore e il giorno dopo l’omicidio. È molto importante e l’ho collocata soltanto alla fine per spiegare e unire i tanti fili sparsi che compongono questa storia. Cosa Nostra e 'ndrangheta verranno usate anche nelle stragi eversivo-terroristiche.
Lo scambio di lettere con un neofascista - Nei puzzle da tavolo c'è sempre un pezzo più spigoloso degli altri, che però proprio in virtù della sua forma riesce a incastrarsi e a legare a sé tutti gli altri tasselli. Nell'inchiesta sulla morte di Pier Paolo Pasolini questo pezzo aspro e deforme è rappresentato dalle lettere scambiate dal poeta con Giovanni Ventura, membro del movimento neofascista Ordine Nuovo, dal marzo fino al tragico 2 novembre del 1975. A pubblicarle è stata la stessa Simona Zecchi, partendo da una frase emblematica: "La verità ha un suono speciale". Pasolini chiudeva con quella frase una lettera del 24 settembre 1975 rivolta proprio a Ventura, in quel momento in carcere in attesa del processo per Piazza Fontana. Non era semplice retorica, non voleva essere una frase a effetto: il giornalista Pasolini la rivolgeva a un interlocutore dal quale pretendeva risposte. Risposte sulle stragi.
Il giornalista Pasolini - A partire dall'esplosione di Piazza Fontana il 12 dicembre del 1969, e in maniera più consistente poi dal marzo del 1975, ma costantemente lungo il corso degli ultimi cinque anni di vita, Pier Paolo Pasolini ha sempre cercato le risposte sulle matrici delle stragi che avevano insanguinato sin lì l’Italia e sui tentativi di golpe che nel mezzo si erano alternati (Golpe Borghese - Rosa dei Venti). I suoi ultimi articoli - che si condensavano tutti sul "processo alla DC" e sul perché non si riusciva a fare luce su quelle stragi, sul ruolo della magistratura delle mafie - cadenzavano e guidavano il dibattito politico di quei mesi. Ma il suo è stato un percorso di verità sempre in progress esplicitato dapprima anche con la poesia, soprattutto nella raccolta Trasumanar e Organizzar pubblicata nel 1971 che conteneva una dedica in versi alle vittime di Piazza Fontana oltre che una riflessione e una denuncia ("Patmos").
Petrolio e l'inchiesta sull'Eni - Oltre a voler snidare l'operato dello Stato, quello neofascista, delle mafie e della Cia, lo scrittore si preoccupava anche di capire chi nella estrema sinistra per varie ragioni - ma soprattutto per via della infiltrazione che nelle sue fila politiche e culturali era avvenuta da parte delle organizzazioni di estrema destra - non faceva che portare acqua al mulino di questa continua destabilizzazione. E per questo era inviso da molti. "Petrolio" è l'ultima summa giornalistico-letteraria lasciataci da Pasolini, ovviamente rimasta incompiuta anche nella sua stessa "struttura libro" accidentata e monca dei capitoli clou. Le pagine più bianche sono quelle del cosiddetto "Appunto 21", che secondo alcuni dovevano contenere il racconto "sconvolgente" della scalata di Cefis all'Eni e forse il mistero della morte di Enrico Mattei. O, più probabilmente, rivelazioni sull'oscuro passato partigiano dello stesso Eugenio Cefis in val d’Ossola. Secondo la Zecchi, però, quello che viene definito come "mistero" dell'Appunto 21 non è strettamente legato all'omicidio del poeta, non c'è un filo nero tra Eugenio Cefis e la morte di Pier Paolo Pasolini.
In un articolo del 1° marzo 1975 intitolato "Non aver paura di avere un cuore", il giornalista Pasolini approfondisce la polemica sull’aborto e i temi a lui più cari: omologazione, consumismo e le stragi. Giovanni Ventura arriva proprio in questo frangente, gli scrive il giorno successivo alla pubblicazione attuando la strategia della "seconda linea" appresa dal neofascista ed ex terrorista Franco Freda. In realtà, sarà proprio questo scambio epistolare ad accerchiarlo e condurlo nelle mani dei suoi emissari e assassini. Pasolini riceve a metà ottobre un dossier scottante da Ventura su un politico DC. Cosa rappresenta questo documento a tal punto da portare lo scrittore in una posizione di non ritorno?
Il dossier su un potente democristiano - Dario Bellezza, poeta scomparso a causa dell'Hiv e per un periodo segretario di Pasolini, poco prima di morire fa una rivelazione cruciale: "Pasolini mi disse un giorno, prima di morire, di aver ricevuto dei documenti compromettenti su un notabile della DC. (...) Il potente democristiano era però amico dei neofascisti, della polizia. Controllava i servizi segreti, nelle sue mani c'era Gladio. Pasolini poteva essere eliminato in qualsiasi momento". Il nome caldo è quello di Mariano Rumor. Un nome che introduce nella storia un’altra organizzazione, una struttura minore satellite di Ordine Nuovo (Ordine Nero) fatta poi sparire dopo la strage di Piazza della Loggia. Nel libro viene svelato perché si crea questo accerchiamento e come si ramificano le infiltrazioni all’interno della estrema sinistra del tempo, che si sprigiona in tanti movimenti extra parlamentari fuori dal PCI per malcontento e dissenso. Alcuni di questi movimenti, in particolare le frange più a destra dei marxisti leninisti, si alleano con Ventura, in parte consapevolmente in parte no.
L'Anello di Andreotti - Quand'ero ragazzo, sentivo spesso ripetere una frase a mio nonno: "Pasolini l'ha ucciso Andreotti, si sa". Il tono con cui la pronunciava era sempre lo stesso, che non sai bene se comprendere nel novero delle sentenze inappellabili del tipo "in Italia comanda la mafia" o se scorgere tra le parole quello stesso timore di proseguire il discorso che ha effettivamente dimostrato anche lo stesso Pasolini. Una cosa però è certa: il nome di Andreotti ricorre spesso in questa storia, citato da più comparse in riferimento al cosiddetto "Anello". Un super servizio segreto occulto, scoperto nel 1996 dal consulente della Procura di Brescia Aldo Giannulli, dal nome funzionale: doveva infatti fungere da congiunzione tra altre due strutture oscure e tendenti a pestarsi i piedi a vicenda, la P2 e il Gladio, rispettivamente nelle mani di Pietro Gelli e Francesco Cossiga secondo le dichiarazioni dello stesso Gelli. La storia si fa contorta e un articolo di giornale non permette di scoprire piano piano se l'assassino è il maggiordomo. Leggere per credere.