Pasolini, la scena e i reperti del delitto
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Pur volendo resistere, sarebbe stato impossibile evitare un tributo alla memoria dell'intellettuale più lucido del secolo scorso. E pur cercando, non si sarebbero potute trovare parole migliori delle sue, che di se stesso ha parlato sempre, dentro e fuori le righe di poesie, romanzi, film e lettere
di Maurizio Perriello© Ansa
Una vita violenta spesa a rincorrere ragazzi di vita, morso da una disperata vitalità, nel tentativo di sfuggire a un teorema borghese, inseguendo il sogno di una cosa. Una vita a vagare per Mamma Roma, accompagnato dai canti di Uccellacci e uccellini e dall'olezzo di un Porcile umano. Era una forza del passato, Pasolini, guidata da Passione e ideologia, che ha tenuto Comizi d'amore per le strade di un'Italia, quella del Dopoguerra e del Boom, sporcandosi la pelle bianca secca con le ceneri di Gramsci. Abbagliato dalla Forma della città, ha alzato gli occhi al cielo domandandosi Che cosa sono le nuvole e come sarebbe apparsa la Terra vista dalla Luna. Per le borgate, nel rosa assolato della Guinea e dentro il sogno dell'India, si è aggirato come un cane senza padrone impegnato a Trasumanar e organizzar la Religione del suo tempo. Mentre tutt'intorno l'Affabulazione lasciava ruderi martiri, lui camminava all'ombra di Sofocle, con gli occhi pieni di Giotto e di Masaccio. Una bestia da stile, un corvo marxista, un Edipo in lotta con se stesso, col mondo, con le stelle. Quelle stesse stelle che, in una notte del 1975, hanno assistito al martirio del suo corpo, ridotto a un sacco di Stracci.
Il modo migliore di ricordare Pier Paolo Pasolini era forse quello di usare le sue stesse parole, i titoli delle sue opere, le espressioni del suo sguardo sul mondo. Ci perdonerete, dunque, se la "notizia" è stata relegata qualche riga più in basso.
Il 5 marzo 1922, esattamente cent'anni fa, veniva al mondo l'intellettuale più eclettico e scomodo del Novecento italiano, il primo autentico autore multimediale e transmediale della nostra storia. Nasceva a Bologna, nel Quartiere Santo Stefano, a due passi da quel Portico della Morte che in futuro avrebbe definito il suo "più bel ricordo della città natale, dove da studentello delle superiori andava a comprare i suoi primi libri: L'Idiota di Dostoevskij, il Macbeth di Shakespeare. La morte nel destino, come tutti in fondo. Ma Pasolini ha avuto un rapporto particolare con la propria morte: l'ha immaginata, l'ha scritta, l'ha romanzata. In una parola: l'ha prevista. Secondo alcuni ha fatto anche di più: l'ha organizzata. E lo ha fatto come uomo e come intellettuale, con una precisione e una lucidità fuori dal comune.
È una verità sfuggente che scorre lungo il fiume delle sue parole, per sfociare nel mare del non detto che ha lasciato con la sua morte. Ecco perché s'è deciso di raccontare Pasolini con le parole di Pasolini, disseminate in centinaia di opere di poesia, letteratura, cinema, saggistica, giornalismo, critica, perfino pittura. Pasolini è stato un poliartista, che mai come nessun altro ha saputo interpretare i diversi linguaggi del Novecento, il secolo dei mass media, delle grandi trasformazioni tecnologiche e soprattutto sociali, del nuovo capitalismo e del consumismo che hanno omologato le coscienze e mercificato corpi e anime.
"La borghesia è il diavolo: vendergli l'anima senza contropartita? Oh, certo no: bisogna adottare la sua cultura, recitare come un Pater Noster la vergogna dell'esordio puramente formale, della clausola mistificatrice... Ed essere retorici significa odiare, essere incolti significa aver perso deliberatamente ogni rispetto per l'uomo. Questo può urlare, un profeta che non ha la forza di uccidere una mosca - la cui forza è nella sua degradante diversità".
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La morte programmata - Scandalizzare è un diritto, sosteneva Pasolini. E la tesi della "programmazione" della propria morte è una tesi scandalosa, certo, ma condivisa da sempre più persone: studiosi, colleghi, amici. Tra questi spicca senza dubbio Giuseppe Zigaina, pittore friulano vicinissimo al poeta delle ceneri, secondo il quale la morte dell'intellettuale più "scomodo" del Novecento deve essere considerata la "valorizzazione semantica di tutta la sua opera". Non si parla ovviamente di suicidio, ma di "morte secondo valore", di "martirio per autodecisione", un trapasso significante sul piano espressivo e intellettuale, quasi sceneggiato, che fosse il fulcro dell'intera sua opera. Pasolini avrebbe disseminato varie tracce nei suoi lavori, dai romanzi ai film, quasi come tessere di un puzzle da comporre postumo. Non a caso molti protagonisti e personaggi delle sue opere, dal piccolo Genesio del libro Ragazzi di vita ad Accattone nell'omonimo film, muoiono in maniera violenta. Come il loro autore, che la notte del 2 novembre 1975 Pasolini spirava sul lungomare di Ostia, proprio nel Giorno dei Morti, nell'orribile quadro di una violenza che sembrava nata direttamente dalla sua penna. Sfregiato, pestato, straziato dalle ruote di un'automobile, ridotto a "un sacco di stracci" come lo ha definito una testimone oculare. Un caso ancora aperto, un'inchiesta mai conclusa, una ferita mai rimarginata della storia italiana. E Pasolini l'aveva scritto, aveva scritto tutto, immaginandosi "vittima sacrificale uccisa a colpi di bastone". E non a caso a Ostia, la cui parola indica proprio la "vittima" offerta in sacrificio.
Le ultime parole del poeta - "La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita", diceva Pasolini. E le ultime parole sono l'ultima battuta prima della scritta "fine". Pasolini ha pronunciato le sue in un'intervista a Furio Colombo, rilasciata pochissime ore prima di morire. Annunciando “siamo tutti in pericolo”, Pasolini parlava della tragedia del suo, del nostro tempo: "Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l'una contro l'altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l'orario ferroviario dell'anno scorso, o di dieci anni prima". E, qualche domanda dopo, ripiomba come un tuono sulla terra della sua imminente morte. E gli è impossibile non parlare anche di quel potere che l'ha determinata: "Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella. Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono".
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L'incontro (postumo) con Pasolini - Incontrare Pasolini ha significato incontrare l'idea della morte, mai stata così chiara ai miei occhi. A 80 anni esatti dalla sua nascita, nel 2002, mia nonna Magda tornò da Pisa con un regalo: un libro intitolato "L'usignolo della Chiesa cattolica". Quel titolo dovette parerle emblematico, perfetta copertina di un libro "religioso". Non sapeva di avermi innocentemente donato una raccolta di poesie di un autore ateo e anticlericale. Neanche io lo sapevo, imberbe quattordicenne, ed ecco perché quell'incontro mi sconvolse due volte. Tra le pagine mi trovai immediatamente faccia a faccia con il presagio della morte: trasudava da ogni verso, era dentro ogni parola. In un altro libro di poesia, "Poesia in forma di rosa", la morte dava forma stessa ai componimenti, impaginati in modo da formare una croce. Mi trovai inerme di fronte a questi versi:
"Quanto al futuro, ascolti:
i suoi figli fascisti
veleggeranno
verso i mondi della Nuova Preistoria.
(...) Come un partigiano
morto prima del maggio del '45,
comincerò piano piano a decompormi,
nella luce straziante di quel mare,
poeta e cittadino dimenticato".
Mi sembrò di vederlo, steso su una spiaggia, immobile come lo avrei visto negli anni a venire nei documentari sulla sua uccisione. Capii in un istante il potere delle parole, l'ossessione della morte di un intellettuale ingobbito e lacerato dal peso di ciò che sa. Al di là di ogni morale o sentimento religioso, capii che tutto nasce dentro e tutto muore fuori di noi. O quasi tutto. Perché queste parole di Pasolini, a cent'anni dalla sua nascita e quasi 50 dalla sua morte, io non le ho mai dimenticate.