In occasione della pubblicazione della nona edizione del "Manuale di diritto dell'informazione e della comunicazione", Tgcom24 ha intervistato l'autore per approfondire i temi toccati nel libro
di Giorgia Argiolas© Ufficio stampa
La progressiva digitalizzazione delle nostre vite pone nuove sfide. La nona edizione del "Manuale di diritto dell'informazione e della comunicazione" di Ruben Razzante (ed. Cedam-Wolters Kluwer), disponibile nelle librerie, offre a cittadini, imprese e istituzioni le conoscenze fondamentali per essere soggetti consapevoli e attori protagonisti dell'incessante cambiamento che attraversa il mondo delle comunicazioni. Il volume raccoglie le ultime novità normative, giurisprudenziali, deontologiche e dottrinali nazionali, europee ed extraeuropee in materia di diritto dell'informazione ponendo una particolare attenzione su importanti temi di attualità riguardanti il giornalismo, la disinformazione e il fenomeno delle fake news, la privacy e il diritto di cronaca, la diffamazione a mezzo stampa e a mezzo Internet e il diritto d'autore, mantenendo sempre un focus costante su ciò che riguarda le nuove tecnologie.
Tgcom24 ha intervistato Razzante, Professore di Diritto dell'informazione, di Diritto della comunicazione per le imprese e i media e di Diritto europeo dell'informazione presso l'Università Cattolica di Milano e di Diritto dell'informazione e deontologia giornalistica alla Lumsa di Roma, per approfondire i temi toccati nel manuale.
A tre anni dall'ottava edizione del manuale, quanto e come è cambiato il mondo dell'informazione?
Il Covid, e quindi la gestione eccezionale della pandemia, ha impresso un'accelerazione fortissima all'evoluzione tecnologica. È dunque cambiato in modo molto repentino il rapporto tra tecnologia e diritto. Si sono usati molto di più gli strumenti digitali per svolgere tutta una serie di attività che normalmente si svolgevano in presenza. Tutto questo ha richiesto non solo uno sforzo a livello di infrastrutture ma anche un ripensamento di quelli che erano alcuni schemi e categorie del diritto applicato alla Rete. Per cui, questa edizione è certamente indispensabile per fotografare lo stato dell'arte - ed è aggiornata fino al 1° aprile -, perché sia il legislatore europeo che quelli nazionali sono dovuti correre ai ripari per accelerare il rinnovamento giuridico della Rete e quindi per garantire agli utenti una regolamentazione più rispettosa dei loro diritti e per disciplinare ancora meglio le regole per i gestori delle piattaforme.
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Il Covid - come anticipava - e la guerra in Ucraina si sono rivelate delle grandi prove per il mondo dell'informazione. Entrambi hanno infatti evidenziato l'ingestibilità della diffusione delle fake news...
Ho fatto parte della task force anti fake news relative all'emergenza Covid del governo che è stata in carica fino al 31 marzo, quindi ho seguito l'argomento da vicino. Già nel 2018, in un libro, avevo lanciato l'allarme delle fake news e proposto all'allora governo Gentiloni di costituire un tavolo di consultazioni permanente dove riunire tutti gli attori della filiera di produzione e distribuzione delle notizie per ragionare sul tema. Poi, nel settembre 2018, l'Unione europea ha varato un codice di autoregolamentazione in materia che è stato firmato da tutti i colossi del web, che si impegnavano a rimuovere le fake news. Il codice, che era stato pensato soprattutto in vista delle elezioni europee del 26 maggio, ha funzionato ed è poi stato rinnovato nel 2021. Inoltre, negli ordinamenti nazionali ci sono delle leggi sul procurato allarme, sulla diffamazione online, quindi possiamo già operare efficacemente per contrastare le fake news e punire coloro che le diffondono. Tuttavia, le leggi non bastano. È necessario usare varie armi e creare una cultura digitale. Ciascun utente deve evitare di condividere notizie di dubbia autenticità, cercare riscontri in Rete prima di diffondere link che diventano virali e contribuiscono a disinformare. È chiaro che questi processi si sono amplificati notevolmente sia col Covid che con la guerra per cui vanno a incidere sulle scelte nazionali, sugli equilibri bellici e su tutto il resto. Non sapremo mai l'assoluta verità, dobbiamo però imparare a dubitare e a prendere delle controdifese per poter informarci in Rete senza essere travolti dalle fake news.
A proposito di disinformazione online, l'Unione europea ha raggiunto l'accordo politico sul Digital Services Act, il disegno di legge che impone alle Big Tech una maggiore responsabilità sui contenuti illegali o nocivi che circolano sulle loro piattaforme. Lei cosa ne pensa? Funzionerà?
Credo che un contributo lo darà, anche se è ancora presto per dire se funzionerà perché di fatto fino al 2024 non cambierà nulla. I colossi del web si stanno già assoggettando a delle norme vincolanti, per esempio in materia di copyright e privacy. Le leggi europee ci sono e funzionano. Il Digital Services Act è una svolta ulteriore, ma in una direzione già tracciata da anni, quella della responsabilizzazione progressiva delle piattaforme dal punto di vista giuridico, le quali non possono soltanto lucrare grazie alla circolazione dei contenuti, ma devono anche collaborare alla vigilanza e rispondere in alcuni casi dei rischi che gli utenti corrono quando si imbattono in contenuti illegali.
Quindi con il Digital Service Act cosa cambierà?
Con il Digital Services Act le piattaforme dovranno fare un passo ulteriore rispetto a quello che hanno già fatto. I contenuti illegali verranno intercettati tempestivamente e rimossi. Gli obblighi saranno rigorosi, ci sarà una trasparenza maggiore, l'informazione dovrà essere corretta in ogni suo punto e le piattaforme e i motori di ricerca dovranno mettere gli utenti in condizioni di navigare in sicurezza e di assumersi anche le proprie responsabilità. Sono fiducioso e ottimista. Certamente ci saranno sempre reati, abusi, soprusi, eccetera, però gradualmente bisogna impegnarsi a rendere la Rete un regno più inclusivo, democratico e fare in modo che le persone si sentano più sicure quando la utilizzano anche per lavoro e per le attività quotidiane.
Tenendo conto di questo contesto in continuo mutamento, com'è cambiato il ruolo del giornalista e soprattutto la deontologia professionale?
Il rapporto tra tecnologia e giornalismo si sta sviluppando notevolmente. Dal punto di vista deontologico, sottolineo il dovere previsto dall'articolo 2 del Testo unico dei doveri del giornalista sul corretto utilizzo dei social network. Invece, assistiamo spesso a degli eccessi nelle esternazioni di alcuni colleghi. Da una parte, i giornalisti vanno elogiati per quello che hanno fatto nella prima parte dell'emergenza pandemica perché hanno raccontato l'evoluzione del virus dai luoghi del contagio, rischiando anche in prima persona e garantendo il diritto all'informazione. Dall'altra, penso che nella seconda fase si siano un po' fatti prendere la mano e abbiano ospitato troppi virologi. È diventato tutto uno show. Ora devono fare un salto di qualità, devono dimostrare il loro valore aggiunto e il loro valore aggiunto si chiama deontologia. Devono far vedere di avere a cuore la qualità dell'informazione già a partire dalla selezione delle notizie, dalla verifica delle fonti e poi dall'esercizio del diritto di cronaca nel suo complesso.
Il suo volume si rivolge a imprese e istituzioni, ma anche ai cittadini. Come può il manuale aiutare questi ultimi a tutelarsi online?
Il mio grande sforzo, e spero di essere riuscito nell'intento, è di trattare con un linguaggio divulgativo contenuti scientifici e giuridici. Nel capitolo 6 - che è proprio dedicato ai temi della Rete, e dunque diffamazione online, offese sui social, eccetera - faccio esempi pratici che consentono alle persone di sapersi orientare in Rete senza correre il rischio di rimanere vittime di abusi, offese, insulti, cyberbullismo e revenge porn. L'obiettivo è quindi quello di raggiungere addetti ai lavori ma anche cittadini comuni curiosi di capire come funziona la Rete e come si naviga correttamente.
Cosa dovrebbe ancora cambiare e migliorare a livello di bilanciamento tra diritti in Rete? Come si può tenere sotto controllo il livello di tossicità dello spazio digitale?
Ci vuole un nuovo umanesimo digitale, in grado di coniugare efficacemente l'innovazione tecnologica con i nuovi diritti da garantire in Rete. Se la tecnologia si ritorce contro l'uomo e diventa un fattore di pericolo è chiaro che perde le sue potenzialità positive. I legislatori, gli operatori del settore e gli utenti comuni devono marciare tutti nella stessa direzione: rendere più vivibile e accogliente la Rete, fare in modo che non sia uno strumento demoniaco in grado di distruggere la vita delle persone, ma uno costruttivo in grado di includere e migliorare il mondo.