LA RETORICA DEL CALIFFATO

Salazar: "Per sconfiggere l'Isis bisogna usare le armi delle parole..."

La lotta al Califfato passa per la comprensione della sua forza persuasiva e retorica, dice il filosofo di cui Bompiani pubblica "Parole armate. Quello che l’Isis ci dice. E che non non capiamo"...

26 Gen 2016 - 17:26

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"Bisogna ammettere che non basta inviare diplomatici che parlano arabo. Bisognerà pensare islamico, parlare islamico, argomentare islamico. Mettersi alla portata retorica dell'avversario". L'avversario, ovvero il Califfato, per Philippe-Joseph Salazar, professore emerito di Retorica all'università di Città del Capo potrà essere affrontato solo così, attraverso le armi della retorica. Tgcom24 lo ha incontrato alla presentazione del suo ultimo libro, appena pubblicato da Bompiani, "Parole armate. Quello che l'Isis ci dice. E che non non capiamo"...

Nato in Marocco nel 1955, Salazar è stato direttore del Collège international de philosophie di Parigi e vincitore del Prix Bristol des Lumières 2015. Nel suo ultimo ed inedito studio affronta i modelli di persuasione dello Stato Islamico. Secondo il filosofo infatti, il salafismo jihadista e la sua incarnazione armata, il Califfato, hanno dichiarato una guerra planetaria di comunicazione e soprattutto di persuasione di massa. Dopo gli attacchi di Parigi, il potere retorico persuasivo del Califfato è sotto gli occhi di tutti.

Basandosi su una documentazione dettagliata e spesso del tutto inedita, Philippe-Joseph Salazar analizza i punti di forza del linguaggio della propaganda jihadista, mostrando di contro la debolezza dei discorsi dell’Occidente di fronte a essa. Il nostro contrattacco armato non sarà sufficiente: per vincere la guerra sul campo dobbiamo prima vincere la guerra delle parole.

Nel suo libro professor Salazar lei insiste sulla necessità di capire la forza verbale e retorica del Califfato e dell'Isis, di "importanza retorica della proclamazione della fede musulmana Allah Akhbar" e dell'"effetto retorico dell'apparizione del califfo" ... ma come si traduce all'atto pratico in Europa questo intento?. Chi sono gli organi preposti a portare avanti questo processo? I media, i governi, la scuola? E come?
Se intende chiedere se esiste una politica coerente dei grandi governi occidentali per organizzare una contro-propaganda efficace, fare correttamente informazione, non esercitare alcuna pressione sui media e non ricorrere a cliché controproducenti, la mia risposta è negativa. Siamo scarsissimi. Come potrà osservare solo pochissimi filosofi europei, o nessuno di loro, hanno preso una posizione netta, vale a dire hanno formulato una posizione basata su un’analisi intellettuale impegnata. Sartre in passato sostenne la causa palestinese. Foucault poi seguì da vicino la rivoluzione iraniana. Dopo l’11 settembre Agamben ha scritto sulla moda dello stato di emergenza che coinvolge le democrazie. In Francia siamo in due – Michel Onfray ed io – ad aver sviluppato un’analisi impegnata. Capire inizia proprio da lì.

Nello specifico quale sarebbe il ruolo dei media? E di Internet?
I media: dovrebbero informarsi regolarmente (ricevo ogni giorno fino a trenta alert sul Califfato), non dovrebbero accontentarsi del copia – incolla di ciò che forniscono loro le fonti di base come Reuters, dovrebbero esercitare la propria capacità di analisi critica e controllare l’esattezza delle loro presentazioni. Internet? Internet non esiste in quanto agente autonomo, non prende ordini da nessuno ed è quindi impossibile dire che il suo ruolo corrisponde a questo o a quest’altro. Perché Internet appartiene a tutti! Il Califfato ha capito come metterlo a suo servizio, lui che si serve di Internet che abbiamo creato noi, contro di noi e con una maestria e un’acutezza che non ci appartengono.

Lei dice che la forza di attrazione per il reclutamento di giovani europei nella fila dell'Isis deriva dal concetto di populismo che il Califfato ha riproposto: chi crede contro i miscredenti, un popolo spontaneo, gli esclusi che resistono e si ribellano al nemico.. .Un concetto caduto in disuso in Europa. Ma è possibile un populismo europeo? E cosa comporterebbe?
Populismo? In disuso? Ha letto Ernesto Laclau? Ciò che Lei dice (perché credo faccia semplicemente l’avvocato del diavolo!) rivela un gravissimo problema che condividono le nostre democrazie temperate in Europa: decidere, di fronte a un fenomeno politico che infrange il nostro comfort, che questo o quell’altro è “vecchio”, “passato” (populismo), o “selvaggio” o “barbaro” (il Califfato), - per non guardare in faccia la realtà. Esiste un populismo del Califfato: 30.000 giovani sono partiti e centinaia di moschee nei quartieri popolari seminano il messaggio dell’integralismo. Ma, ed è questa la grande modernità, si tratta di un populismo che non è più “locale” ma “globale”. D’altro canto, tra le popolazioni musulmane in Europa che credevamo integrate (Francia o UK) si assiste al prorompente aumento dell’osservanza rigorosa, che porta all’impegno diretto. Va capito che questo Risorgimento del Califfato è quindi populismo. Ma non ci piace e disturba l’abitudine di pensare che populismo=andare a destra per il popolo (in Europa) o = andare a sinistra (in America del sud). Questo populismo di un nuovo genere è religioso e transnazionale.

Perché scegliere Allah e non Dio, perché scegliere il Califfato e non la Chiesa cattolica o evangelista? Anche la religione occidentale ha quindi fallito nella sua comunicazione retorica?
La sua domanda solleva un punto estremamente importante: siamo di fronte a un movimento di conversione di migliaia di giovani che sarebbero normalmente atei o cristiani, verso l’islam. Parlare di “radicalizzazione”, un termine di management politico, evita di nominare la realtà del fenomeno: trattasi di conversioni di massa e di conversioni ovviamente volontarie, che creano forti legami di solidarietà, e anche di amore (parola chiave nella propaganda del Califfato) tra gli individui passati all’Islam in versione Califfato. Si tratta – basta leggere quanto scrivono i giovani convertiti - di una scelta di vita. Del resto bisognerebbe anche chiedersi perché le grandi ideologie secolari, come la laicità francese o il marxismo rivoluzionario alla tedesca o all’italiana, hanno perso forza. L’Europa così come la viviamo è due volte debole; debole religiosamente, debole ideologicamente.

Il ruolo della donna e il femminismo di cui parla nel suo libro stride con quello che in Occidente vediamo e "sappiamo" sulla condizione della donna musulmana... Donne e giovani delusi da una società e da governi in cui non si riconoscono... sono loro i "prescelti" dal Califfato? Loro le reclute ideali?
Non sono, uomini e donne delusi, anzi sono, uomini e donne entusiasti all’idea di vivere la loro fede e di vivere una vita che abbia un senso superiore. Non bisogna utilizzare più il termine 'reclute» che innesca confusione: è volontarismo. Ma dato che questo volontarismo ci fa paura, ci disturba, ci intimidisce, parliamo di 'reclute'. E ancora una volta ci nascondiamo trovando un argomento che ci dia conforto e ci illuda.

Bompiani – Euro 17,00 – pag. 208

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