"Stranieri ovunque" alla Biennale d'arte di Venezia, che cosa non perdersi
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Dall'Arsenale ai Giardini, dal padiglione italiano a quello australiano fino alla sindone creata da Teresa Margolles: cosa non perdersi e le istruzioni all'uso
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Non c'è nulla che riesca a trasformare in critico d'arte un qualsiasi visitatore come una Biennale d'arte di Venezia. L'esposizione è così ampia che è inevitabile trovare più di qualcosa che piace, non piace, che sembra fuori luogo o che, più semplicemente, non si capisce. Se poi la mission del curatore è di puntare sulla diversità, tema che coinvolge argomenti politicamente sensibili come le migrazioni o il gender, ecco che la strada delle polemiche poteva spalancarsi. Paradossalmente, invece, questa edizione è tra le meno provocanti degli ultimi anni, perché le tematiche queer così come quelle della disabilità o delle minoranze sono ormai decisamente mainstream, almeno nel mondo dell'arte
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Il titolo della mostra è "Stranieri ovunque" titolo che oltre che a uno slogan utilizzato da un circolo anarchico torinese fa riferimento alle teorie del sociologo El Sayed che evidenziava lo spiazzamento del migrante che non è a casa sua nel luogo di elezione ma non lo è più nemmeno in quello d'origine. La stessa radice dà luogo anche alla parola strano, e il bello della mostra è proprio nell'aver selezionato - in barba alle leggi del mercato che talvolta hanno reso ricchi i curatori - opere di centinaia di artisti mai visti prima.
Ecco allora qualche istruzione d'uso per chi viene la prima volta e deve scegliere come trascorrere il tempo che comunque non sarà sufficiente per vedere tutto.
La selezione ufficiale è divisa in due spazi vicini tra di loro, l'Arsenale e i Giardini. Ognuno richiede almeno un'intera giornata, se piove meglio l'Arsenale che è coperto mentre i Giardini prevedono spostamenti all'aperto.
La gigantesca opera che domina dall'alto il visitatore all'ingresso dell'Arsenale non potrebbe essere più spettacolare tanto che verrebbe voglia di lasciarla lì per sempre, un po' come i palazzi celesti della Bicocca, ed ha ampiamente meritato il suo Leone d'oro. Si tratta di un intreccio luminoso di cinghie realizzato dal collettivo Maori Mataaho che accoglie come in grembo materno chi entra. La poetessa visiva Greta Schodl, bolognese d'adozione, fa vibrare le lettere sulla superficie immobile del marmo così come l'anziana Yolnu Mamyru White con le sue pitture su corteccia.
Interessante è il progetto dinamico proposto dal Disobedience Archive al quale hanno collaborato anche gli studenti della Naba che presenta spezzoni di immagini tratti dall'archeologia dei movimenti di opposizione sociale dello scorso secolo. Prendono l'occhio i serpenti incisi da Wangshui che nell'intento dell'autore diventano simbolo di conoscenza, violenza e amore. Amore con un angolo inquietante è quello delle opere di Iva Lulashi che pur giovanissima in questo contesto sembra quasi una veterana. L'artista albanese ma milanese d'adozione presenta una ricostruzione del suo studio-abitazione dove le opere parlano di sesso senza farlo vedere. Merita tutti i 9 minuti della sua durata il video del Filippino Serafin.
Il padiglione Italiano propone un percorso sonoro estremamente ambizioso finanziato anche dalla Patrizia dell'arte italiana che per l'occasione ha invitato tutti sull'isola di San Giacomo - dove la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo sta creando un mega centro espositivo - per assistere alla performance della danzatrice coreana Eun-Me Ahn.
Particolarmente toccante l'area dedicata agli artisti migranti Italiani, giusto per ricordare il tesoro che continuiamo a portare con l'arte in giro per il mondo. Nel bacino dell'Arsenale si leva sulle acque l'installazione di Claire Fontaine che dà il titolo alla mostra. Questo weekend, proprio di fronte, nelle Tese, si svolge il salone dell'alto artigianato italiano, che sfida l'edizione appena conclusa di Homo Faber a sottolineare se ce n'era bisogno la tradizione artigianale della laguna.
Ai Giardini non perdete il padiglione australiano, migliore partecipazione nazionale. Archie Moore disegna una genealogia delle prime nazioni africane che va indietro di 65.000 anni per raccontare la storia di violenza di cui sono state vittime, nel farlo ci ricorda che siamo tutti una sola famiglia. Dopo quella australiana la partecipazione più coinvolgente è quella inglese a cura di John Akomfrah con una molteplicità di proiezioni per nulla ottimistiche sul nostro futuro.
Se siete ancora vivi, approfittatene per un attimo di meditazione davanti alla sindone creata dalla grandissima Teresa Margolles, un lenzuolo con le ultime tracce umane di un migrante che fugge dall'incubo venezuelano.
Se non siete a Venezia solo per la Biennale e volete risparmiare i 30 euro del biglietto, per la città un po' ovunque fino al 24 Novembre sono aperte infinite altre esposizioni. Impossibile visitare quella del Vaticano nel carcere femminile della Giudecca, sold out dopo la promozione seguita alla visita di Papa Francesco ma ce ne sono almeno due che da sole valgono il viaggio perché uniche, diverse e irripetibili.
La prima è quella di Punta della Dogana del francese Pierre Huyghe dove non bisogna entrare con l'idea di guardare opere ma con un'apertura mentale che consenta di effettuare un viaggio in un mondo parallelo. Siamo un po' tutti come la scimmia di Fukushima ritratta in un video, abbandonati in un mondo che non comprendiamo e destinati a diventare ossa che una macchina immortale raccoglierà nel deserto come mostra un secondo video.
Decisamente più ludica nella sua lucida follia elencatoria è quella della Fondazione Prada dove Christoph Buchel ha ammassato una quantità inverosimile di materiali per parlare di denaro. L'ispirazione trae origine dal fatto che il Palazzo che la ospita fino al 1969 era sede del locale Monte di Pietà, ambito che l'artista cerca di ricreare mescolandolo con opere d'arte e quotazioni di borsa in tempo reale. Una chicca tra le chicche, sei scatolette di "merda" d'artista di Manzoni - insieme valgono più di un milione - sbattute in una teca polverosa piena di carabattole. Son piaciute tanto anche: Julie Merehtu a Palazzo Grassi, De Kooning scultore all'Accademia, lo studio di William Kentridge al ponte prima dell'Arsenale, le foto di Hujar nella New York dell'Aids, Ernest Pignon-Ernest da Vuitton, l'esposizione del rinato Palazzo Diedo e gli arcangeli caduti di De Bruyckere davanti a San Marco sull'isola di San Giorgio dove sono anche esposti le opere in vetro che caratterizzavano le edizioni della Biennale di un centinaio di anni fa. Una tradizione perduta quella di presentare questa storica arte veneziana che la mostra richiama e suggerisce per il futuro.
Marco Di Gregorio