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Il doppio volume, a cura di Luca Massimo Barbero (in collaborazione con Silvia Ardemagni e Maria Villa della Fondazione Lucio Fontana) e edito da Skira, è frutto di un progetto condiviso con Enrico Crispolti, curatore dell’intera collana dei Cataloghi ragionati del Maestro
di Lorella Giudici© Ufficio stampa
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"Io sono uno scultore e non un ceramista. Non ho mai girato al tornio un piatto né dipinto un vaso", ha lasciato scritto Lucio Fontana, precisando così la propria identità d’artista. Che fosse una tela, un pugno di gesso, un blocco di terracotta o un foglio di carta per Fontana non c’era differenza: tutto diventava scultura, tant’è che "i critici dicevano ceramica. Io dicevo scultura". I precetti erano sempre gli stessi: spazio, forma e, come gli antichi, colore dal momento che "la mia forma plastica dai primi agli ultimi modelli non è mai dissociata dal colore. Le mie sculture sono state sempre policrome. Colorivo i gessi, colorivo le terrecotte. Colore e forma indissolubili, nati da un’identica necessità”. Quel colore che Raffaello Giolli è tra i primi a far notare nel 1931 quando davanti a l’Uomo nero, lo Stallone rosso, la bianca modella e il Fanciullo celeste scrive: "colorazioni intere, aderenti all’immagine, significanti […]. La gente che s’imbarazza nel giudizio di queste forme di scultura inconsuete, pensi che la sua inquietudine è proprio la stessa che invade l’artista".
La prima ceramica, racconta lo stesso Fontana, la modella in Argentina nel 1926, è un Ballerino di Charleston che viene acquistato dal Museo di Santa Fe, la città dov’era nato nel 1899. Però, sarà solo nel 1946 che prenderà sul serio questa materia e nella fabbrica Mazzotti di Albisola plasmerà, uno dopo l’altro, una cinquantina di pezzi: "alghe, farfalle, fiori, coccodrilli, aragoste, tutto un acquario pietrificato e lucente. La materia era attraente; potevo modellare un fondo sottomarino una statua o un mazzo di capelli e imprimere un colore vergine e compatto che il fuoco amalgamava".
Dopo il bestiario e le forme della natura, sarà poi la volta di donne dalle membra d’oro (Signorina seduta, 1934; Ritratto di Teresita, 1938) e di battaglie nelle quali cavalli e cavalieri sono getti di materia colorata (Battaglia, 1947-1948), zampilli di energia che per la loro effervescenza faranno parlare di "stagione barocca".
Del 1950 è un concetto spaziale che intitola Il pane: un rettangolo di terracotta che il punteruolo ha trafitto con una moltitudine di buchi affondandovi come dentro la mollica. Fori, incisioni e tagli che seguono la grammatica dei Concetti spaziali anche quando si ritrovano a decorare con eleganza ed essenzialità dei vasi o quando trasformano dei "piatti" (riduttivo definirli in questo modo) in carismatici monili.
Per la prima volta l’intero corpus della scultura ceramica di Lucio Fontana è stato raccolto in un Catalogo ragionato a cura di Luca Massimo Barbero (in collaborazione con Silvia Ardemagni e Maria Villa della Fondazione Lucio Fontana) e edito da Skira. Il doppio volume, con circa 2000 opere realizzate in un arco temporale che va dal 1929 al 1966, è frutto di un progetto condiviso con Enrico Crispolti, curatore dell’intera collana dei Cataloghi ragionati del Maestro, e raccoglie gli esiti dell’attento lavoro di archiviazione svolto dalla Fondazione in oltre cinquant’anni di attività. Pagina dopo pagina emerge la grande creatività dell’artista costellata da sperimentazioni che nella ceramica trovano un medium ideale per testare e mettere in pratica l’ideale relazione tra forma, colore, materia e spazio nel binomio continuamente reiterato tra figurazione e astrazione.
Per l’occasione, oltre agli approfondimenti bibliografici, sono state affrontate nuove ricerche e studi relativi alla biografia dell’autore, corredando i volumi anche di immagini, informazioni e curiosità nuove e inedite.