Viaggio nella Biennale di Venezia
© ufficio-stampa | La wunderkammer a Palazzo Grimani
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Dall'Arsenale alla Ca' d'oro, un percorso di 82 chilometri dentro il mondo dell'arte contemporanea
di Marco Di GregorioSean Scully a San Giorgio © ufficio-stampa
La Biennale di Venezia è di gran lunga il più importante appuntamento a livello mondiale per chi ama l’arte. Tutto è più grande perché tutta la città in centinaia di palazzi è coinvolta e tutto è più bello perché è a Venezia. Ci vuole evidentemente molto più tempo che per una mostra tradizionale; quello che segue è il resoconto di 6 giorni e 82 km di camminate ma per ogni sede visitata ce n’è sicuramente almeno una ancora da visitare, c’è tempo fino al 24 Novembre. Se ad ospitare la mostra è un museo bisogna mettere in conto il pagamento di un biglietto che però da diritto a godersi anche le collezioni permanenti mentre per l’accesso agli spazi principali, Arsenale e Giardini bisogna mettere in conto 25 euro, un po’ meno con le varie riduzioni.
© ufficio-stampa | La wunderkammer a Palazzo Grimani
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Il nostro percorso inizia nel modo meno contemporaneo che si possa immaginare, dal palazzo del doge Grimani dove Venezia Heritage ha ricostituito la più preziosa collezione di marmi della storia veneziana. Il doge fu lungimirante nel lasciarli in eredità alla Serenissima nel 1594 così ora i curatori hanno potuto approfittare dei lavori di ristrutturazione in piazza San Marco per ospitarli nella wunderkammer del doge dove si spera che restino per sempre perché così com’è è una delle più belle stanze al mondo.
Nello stesso edificio, c’è la mostra dell’astrattista americana Frankethaler, molto bella anche se la prossimità con la stanza di Grimani che lascia senza fiato non le giova. Qualche passo sul bacino di San Marco e si arriva all’Arsenale una delle due principali sedi espositive dove all’ingresso ci attendendo i due Elvis di George Condo, collaboratore di Warhol che qui celebra in chiave street art. Di fronte a voi ci sono alcune decine di migliaia di m2 di arte, difficile vederli tutti in meno di una giornata e difficile anche descriverli se non attraverso qualche esempio. “Possiate vivere in tempi interessanti” è il titolo che il curatore Rugoff ha scelto per questa edizione e sicuramente interessanti sono le immagini degli ultimi tra gli ultimi di Calcutta dell’indiano Soham Gupta. Attenzione, tutti gli artisti sono presenti due volte nell’esposizione, all’Arsenale ma anche all’ex palazzo Italia ai giardini. Ogni artista d’accordo con il curatore ha scelto quali opere collocare e dove. Gupta, ad esempio presenta nella prima sede le foto a colori e nella seconda quelle in b/n. L’idea della doppia esposizione è geniale perché consente di creare una distanza spaziale, tematica e temporale così permettendo allo spettatore di sviluppare un giudizio più elaborato. Ipnotico è lo schermo di Christian Marclay, già protagonista di un altro video collage un paio di biennali fa, che ha ritagliato e incollato i bordi di decine di film e li ha proiettati insieme. Da non perdere i “crash test emotivi” di Ed Atkins, realtà virtuale da meditare.
Poi si entra nella sala dei 100 microfonI/altoparlanti di un altro Gupta, questa volta Shilpa, che recitano i versi di 100 poeti censurati. L’opera, che richiama il simbolo dell’ultima Documenta, il Partenone composto da opere censurate, è la prima di una lunga serie di opere “politiche” presenti in mostra. Questa a differenza delle altre non se la prende col solito neoliberismo (che poi sarebbe la dottrina di chi queste opere le compra ma questo è un altro discorso…) ma con le dittature. Emozionano gli sporchi e vibranti vetri della messicana Margolles, premiata dalla Giuria che denunciano i rapimenti di donne di Ciudad Marquez.
Poco più avanti c’è la prima delle due opere di Sun Yuan e Peng Yu e sono quelle che probabilmente ricorderete più di ogni altra di questa Biennale. Qui c’è una poltrona bianca a cui è attaccata una pompa d’aria nera che alterna momenti di calma ad altri di furibondo tremore. Nell’altra sede c’è invece un gigantesco braccio ballerino che prova inutilmente a spazzare una superficie coperta di sangue. Sembrano metafore del potere in versione cattiva, la frusta, e buona, il braccio ballerino, possono non piacere ma questo è lo stato dell’arte. Sempre dalla Cina viene Liu Wei, presente anche nell’antologica cinese sull’isola di San Giorgio che qui presenta un microcosmo in formato macro.
A circa un terzo di strada dell’arsenale c’è Endodrome, la formidabile installazione in realtà virtuale di Dominique Gonzales Foerster. La coda per partecipare è normalmente molto lunga per cui il consiglio è di arrivare all’apertura e di fiondarcisi direttamente prima che arrivino gli altri. Indossate il visore e da quel momento gli artisti siete voi perché l’opera è pensata per creare immagini attraverso il movimento della testa. Così il pubblico diventa due volte artista, dentro il mondo virtuale e in quello reale perché i partecipanti esibiscono i loro curiosi movimenti davanti al pubblico. Poi è il turno di Alexandra Bircken e delle sue anime sospese in lattice che cercano di andare verso l’alto, inquietanti ma umanissime.
Siamo arrivati in fondo al padiglione principale e svoltiamo a sinistra dove iniziano le presenze nazionali, a cominciare da quella che ad avviso di chi scrive avrebbe meritato maggiore attenzione da parte della giuria che è Arkipelago del filippino Justiniani, un universo immaginario su cui camminare e perdersi. Memorabile è anche la stanza del libanese Atoui che per 5 anni ha ascoltato i suoni e i rumori quotidiani sul delta del fiume delle perle in Cina. Il risultato è una serie di “strumenti” musicali che suonano da soli intrecciando una sublime sinfonia. Lungo il cammino due splendidi arazzi di El Anatsui, il più famoso artista africano che realizza grandi superfici partendo dai rifiuti e che era già stato protagonista in una recente biennale. Uscendo alla luce balza agli occhi quello che verrà probabilmente ricordato come il simbolo di questa Biennale, il relitto della nave che affondando nel 2015 nel mediterraneo portò con se la vita di 1000 persone. L’ha portata a Venezia lo svizzero Christoph Buchel che l’ha ribattezzata Barca Nostra a ricordare anche a chi fa finta che così non sia che siamo tutti sulla stessa barca. Lo squarcio nella fiancata è come la punta della lancia sul costato di Cristo, è una ferita che non si può rimarginare e non si può ammirare ma è difficile smettere di guardare.
Molto Zen il padiglione Giapponese con canti di uccelli e fotografie di rocce. Poi ci sarebbe il padiglione Italia. Il curatore, nel testo che accompagna la mostra, consiglia allo spettatore di perdersi, di non cercare una logica e fa bene perché anche il più creativo dei curatori farebbe fatica a trovarne una. Peccato perché dopo i disastri del passato da un paio di edizioni il padiglione Italia era tornato a brillare. Come dimenticare il Mondo magico con il mare nero di Andreotta Calò del 2017 o la splendida collettiva del 2015? Invece ora… Poi si prende la barchetta che collega con l’arsenale nord e tralasciando le braccia sospese di Quinn che neanche la voce di Boccelli è riuscita a sollevare si arriva alla spiaggetta dove il Sabato vi attendono i felici e premiati cantori lituani. Tra l’altro è ora possibile entrare a far parte dell’opera, è in corso un casting https://www.sunandsea.lt/en/. Participate che permetterà ai volontari di entrare a far parte dell’opera premiata con il Leone d’oro alla partecipazione nazionale. Su quest’opera interattiva e in generale su tutta la Biennale una guida preziosa, non solo per gli addetti, è il blog Slow words.
Dall’Arsenale è tutto, ci spostiamo ai Giardini, la sede storica. Il padiglione russo sempre piuttosto vistoso questa volta ci azzecca con un teatrino curato dal museo dell’Hermitage che gira intorno alla Parabola del figliol prodigo di Rembrandt. L’intervento del famoso regista Sokurov lo rende uno dei momenti più appassionanti di tutta la manifestazione insieme al padiglione francese. In genere quando si proietta un video la maggior parte delle persone ci danno un’occhiata e passano al prossimo. Il video di Laure Prouvost no, tutti zitti e immobili a guardarlo dall’inizio alla fine per seguire il contorto viaggio di un gruppo di attori che attraversano la Francia profonda per arrivare a Venezia dove purtroppo non si aggiudicheranno il premio che avrebbero meritato. Sul video punta anche il Brasile che mette in scena una specie di lotta danzante con protagonisti dall’identità ambigua. Tutto sul tema dell’ambiente come da tradizione il padiglione scandinavo con materiali come alghe, muschi e licheni. Mondo Cane si intitola invece il padiglione del Belgio, quello che forse piacerà di più se andate accompagnati dai bambini e che però è piaciuto pure ai grandi visto che è stato premiato. E’ una passeggiata tra manichini semoventi che rappresentano personaggi un po’ reali e un po’ zombi, impenetrabile come solo certa arte contemporanea riesce ad essere.
Poi c’è il padiglione Saraceno che non è un moro ma un grandioso artista argentino che lavora con e per la natura. Qui presenta le sue ormai classiche tele di ragno che rappresentano l’appiglio spettacolare per conoscere le sue teorie che comprendono tra l’altro lo studio del volo umano senza energia fossile. Dentro all’ex padiglione centrale, proprio di fronte alla macchina lavasangue di cui abbiamo già parlato sta il muro col filo spinato di teresa Margolles, una breccia di speranza lo attraversa. Molto molto belli, potrebbero stare persino in salotto, i muretti di cemento e vetro del francese Beloufa. Tra i figurativi interessante il mondo quotidiano di Jill Mulleady e tra gli astratti le opere di Julie Mehretu, la più quotata dell sua generazione con valori ben oltre il milione di euro. Commovente la lastra di marmo che il premio alla carriera Jimmie Durham ha esposto. E’ una lastra di marmo e basta ma è la sua storia che la rende arte, e che arte! Per comprendere la stanza di Lara Favaretto ci vorrebbe una mezza giornata che però nessuno ha e così si deve accontentare di restare nei fumi dell’installazione che emana vapore all’ingresso del padiglione principale dove le ali di Sant’Icaro di Jesse Darling fanno volare. Che non abbiamo citato all’Arsenale ma che meritano di essere segnalati i lavori a uncinetto di Christine e Margaret Wertheim e gli acrilici pixxellati di Avery Singer. Dimenticavo, anche le macchine biologiche di Anicka Yi, un ecosistema di biofilm batterico a base di microalghe.
Prima di abbandonare i Giardini non dimenticate di fare un salto all’ex libreria (ora il bookshop è all’interno del padiglione centrale) dove tutti gli artisti presenti hanno portato uno o più libri e oggetti che li hanno ispirati, un meraviglioso modo per esplorare il dietro le quinte della creazione artistica. A questo punto avete esaurito i bocconi giganti ma vi restano decine e decine di altri siti espositivi da visitare. Se iniziate da Palazzo Fortuny non vi sbagliate mai. Per anni le mostre in occasione della Biennale sono state curate dal grande gallerista belga Axel Vervoordt, la collaborazione ora si è interrotta ma lo spirito estetico che porta ad affiancare ai lavori immaginifici di Fortuny artisti essenziali ai limiti del minimalismo è rimasta. Questo è il turno del più grande artista Coreano del nostro tempo Yun Hyong-keun. Dietro l’angolo potete fare un salto a vedere la tavola imbandita del padiglione Iraniano o ancora meglio proseguire fino a Palazzo Grassi dove c’è l’antologica di Luc Tuymans, giusto per riconquistare il piacere della pittura.
Poi siccome vorrete andare a indossare il video apocalittico in realtà virtuale realizzato da Marina Abramovic (ha fatto di molto meglio) attraversate il canal Grande ma fate attenzione a non confondere la Ca’ Rezzonico gallery con l’omonimo museo che è proprio di fianco e dove, oltre a uno dei più bei palazzi veneziani nell’ambito del lavoro dedicato dai Musei Veneziani al contemporaneo ci sono le immagini che ricordano carosello di Flavio Favelli (solo fino al 15 Settembre). Un altra mostra imperdibile è quella di Adrian Ghenie alla Galleria di Palazzo Cini (da non confondere con l’omonima Fondazione a San Giorgio di cui parleremo più avanti. Ghenie è una specie di Francis Bacon rumeno, sicuramente dal punto di vista delle astronomiche quotazioni ma anche per il gusto della figurazione distorta. Pochi passi più avanti, a Palazzo Mocenigo, l’ingresso è in una calletta, c’è la bella collettiva che Maria Livia Brunelli allestisce in coincidenza con le Biennali da cui vorremmo portarci a casa i fiori tridimensionali di Ketty Tagliatti. A questo punto siete arrivati a Punta della Dogana dove il miliardario Francese Pinault, forse per farsi perdonare la relativa comprensibilità della mostra di Tuymans nella sua altra sede veneziana ha pensato bene di dare spazio al contemporaneo più complesso - e infatti l’unica opera memorabile è un disegnino di Brancusi.
Molto meglio proseguire verso le Zattere dove alla Fondazione Vedova c’è Baselitz, famoso per i suoi personaggi sottosopra e grande protagonista del fuori biennale anche per la personale ospitata in Accademia (dove c’è anche in mostra l’uomo Vitruviano di Leonardo). E’ venuto il momento di prendere il traghetto da san Marco per l’isola di San Giorgio, non prima di aver dato un’occhio all’Espace Vuitton dove Philippe Parreno fa parlare i microbi e, soprattutto, a Palazzo Correr per ammirare come i trittici Palestinesi di Chiara Dynis dialoghino con i capolavori ispirati a quell’altro personaggio nato 2000 anni fa da quelle parti che popolano il palazzo. A San Giorgio c’è la mostra di Burri, che se avete tempo solo per una cosa scegliete quella e poi ci sono gli interventi di Sean Scully nella chiesa. Per l’occasione il super astratto Scully presenta dei personaggi reali davvero sorprendenti. Assolutamente da visitare anche il museo del vetro e in fondo alla riva l’esposizione degli artisti contemporanei cinesi più quotati. Tornati a Venezia non dimenticate di andare a farvi un cicchetto o due nella zona del mercato, consigliamo il Marcà, che insieme alla riva della Misericordia dove il posto migliore è Vino Vero, sono le zone dove si concentrano i locali e quindi procedete verso la fondazione Prada dove Germano Celant celebra l’artista migliore del movimento di Arte Povera da lui lanciato, il Greco di Roma Jannis Kounellis. Di fianco c’è ca’ Pesaro, la sede del museo di arte moderna di Venezia che ha una piccola esposizione di marmi lavorati in 3d ispirati dalle opere di Medardo Rosso presenti in collezione, Molto belle anche le opere del concorso Artefici del nostro tempo, soprattutto il collage dipinto di Gabriele Siniscalco. E, ovviamente, l’antologica di Arshile Gorky, lo sfortunato artista russo davvero compreso solo dopo il suicidio, la mostra termina un po’ prima della fine della Biennale, il 22 Settembre. Eravamo partiti da uno dei più bei palazzi veneziani, chiudiamo col più bello, la Ca’ d’oro che ospita Dysfunctional un’accattivante mostra a cavallo tra arte e design. Meraviglioso l’orologio umano di Marten Baas, il video di un uomo racchiuso dentro un orologio che segna il tempo cancellando e ridisegnando le lancette e Audience di Random International per un trionfo dei selfie.