Dalle passerelle internazionali al fianco di Aldo Coppola ad “Alessandro Gesuita Lab”, un laboratorio di idee per le teste più audaci
di Elena MisericordiaAlessandro Gesuita, l’hair stylist che con le sue forbici interpreta, con garbo ed eleganza, tutto quello che passa nella testa delle donne, dopo un lungo e appassionante cammino sulle orme di Aldo Coppola, è oggi pronto per affrontare una nuova sfida. Mi riceve nel suo salone a Milano, nel quartiere di Porta Romana, uno spazio accogliente in cui sentirsi a casa.
Il laboratorio di idee, che nasce dall’intraprendenza e dalla genialità di questo ragazzo di origini pugliesi, ha le sembianze di un loft caldo ed ospitale più che di un semplice negozio per signore. Pareti in travertino, pavimenti in marmo nero, divani e poltrone, arredi eleganti e ricercati, un’area riservata per assecondare anche i capricci degli uomini e che richiama alla memoria l’antica tradizione del barbiere di fiducia, un angolo bar dove sorseggiare una bibita o rilassarsi con una tisana, una cabina per l’estetica e infine il vero fulcro del locale, il regno di Alessandro, dove i sogni delle donne diventano realtà. “Alessandro Gesuita Lab” (www.alessandrogesuita.com), rispecchia con precisione il pensiero e la personalità del suo ideatore, il suo carattere disinvolto e cordiale, il suo estro creativo e la sua voglia di innovare e sperimentare.
Alessandro, ricordi un particolare episodio del tuo passato che ti abbia indirizzato sulla strada dell’hair styling?
La mia avventura qui a Milano è iniziata tredici anni fa, ma in realtà la mia passione per questo lavoro affonda le sue radici in tempi molto più lontani. Avevo tredici anni e vivevo a Bari, la città in cui sono nato; proprio dietro casa mia c’era un negozio di parrucchiere, uno dei più grandi e rinomati della zona. Non saprei dirti per quale motivo, ma trascorrevo ore ed ore davanti alle vetrine di quel salone, osservavo con ammirazione e trasporto le persone che vi lavoravano e sentivo crescere forte dentro di me il desiderio di imparare quel mestiere. La presa di coscienza di poter creare qualcosa su una testa, di riuscire a far sorridere una donna e di renderla felice con così pochi gesti mi ha fatto immediatamente capire che quella sarebbe stata la mia strada. A quei tempi ero molto piccolo e dovevo frequentare la scuola, tuttavia non volevo rinunciare a veder realizzato subito il mio sogno. Sono rimasto fuori dalla porta di quel negozio tutti i giorni per tre mesi, supplicando il titolare di prendermi con sé. Alla fine siamo giunti ad un accordo: mi avrebbe dato l’opportunità di lavorare con lui a patto che avessi proseguito i miei studi. La mattina quindi andavo a scuola, mentre il pomeriggio andavo nel suo negozio, osservavo le sue tecniche, mi esercitavo sulle testine, invitavo i miei amici per testare su di loro nuovi tagli di capelli. Il proprietario di quel salone è stato il primo a capire che forse avevo un po’ di talento e a credere in me.
E poi com’è nata la tua stretta ed intensa collaborazione con il numero uno, il parrucchiere delle dive Aldo Coppola?
Il titolare del negozio di Bari presso cui ho lavorato per cinque anni, pur essendo un parrucchiere di una città del Sud e pur portando con sé inevitabilmente gli stilemi ed i valori conservatori di una certa cultura meridionale, aveva comunque un carattere innovativo ed era sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, per crescere e migliorare. Con il suo team partecipavo spesso agli eventi più importanti della zona, sia pure di dimensioni locali o al massimo regionali. E’ stato così che all’età di diciassette anni ho lavorato nel backstage di una sfilata nel Salento. In quell’occasione il parrucchiere ufficiale era Aldo Coppola, che però aveva chiesto al negozio presso cui lavoravo degli assistenti a supporto. In quello staff fui scelto anche io. Avendomi visto all’opera in quella circostanza, sono stato chiamato a Milano a lavorare per il numero uno. E’ stata quindi una pura casualità. Mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto. Credo che nella vita, oltre alle capacità, sia indispensabile una buona dose di fortuna. E io ringrazio di averla avuta!
Così ha preso il via la tua avventura milanese… quali sono state le tappe cruciali della tua carriera e cosa ricordi di quegli anni? Com’è stato lavorare gomito a gomito con il re dei parrucchieri?
Mi sono trasferito a Milano non appena ho compiuto diciotto anni ed ho subito iniziato a lavorare nel negozio di Corso Garibaldi. Mi sono sentito un pesce fuor d’acqua! Sono stato catapultato d’improvviso in una città che non avevo mai visto, all’interno di un’azienda di quelle dimensioni, con delle dinamiche a me sino ad allora del tutto sconosciute, a contatto con persone diverse da quelle con le quali mi ero confrontato fino a quel giorno, in un contesto dal respiro marcatamente internazionale… mi è mancato il passaggio intermedio, l’esperienza in un salone “normale” della mia nuova città d’adozione avrebbe reso forse il distacco dalla mia realtà più graduale e meno traumatico… ma del resto io sono fatto così, sono sempre molto drastico nelle mie scelte e penso sia un po’ anche questo il mio punto di forza. Il Signor Aldo veniva a lavorare in quel salone una volta a settimana ed io in quelle giornate lo seguivo passo dopo passo, facendo qualsiasi cosa pur di assorbire il più possibile dalla sua arte. Dopo pochi mesi, al termine di una lunga giornata, mi ha guardato e mi ha detto: “Da martedì prossimo tu sei con me!”. Ricordo di aver pianto a dirotto per le ventiquattro ore successive: quello era il mio più grande sogno, io volevo lavorare con lui, non solo lavorare per lui. Sono così diventato, a soli diciannove anni, il suo quinto assistente e sono rimasto al suo fianco, con umiltà e dedizione, per cinque anni. Mi portava con sé ovunque: alle sfilate di Milano e Parigi, a Los Angeles con Armani la notte prima degli Oscar, a Dallas sempre per Armani, quindi a Tokyo, Montecarlo e in qualsiasi altro luogo si recasse per lasciare la sua inimitabile firma. Ad un certo punto però mi ha ritenuto pronto per andare avanti da solo e mi ha affidato la direzione del salone in Piazza Cinque Giornate. La separazione da Aldo e i due anni successivi hanno rappresentato il periodo più buio della mia esperienza in azienda: era un negozio che non conoscevo, che lui non frequentava e che io, per queste ragioni, non riuscivo a sentire mio. E’ stata una fase molto difficile, finché un giorno non ho ricevuto la sua telefonata: “Vedo che lì da te le cose stanno andando bene, mi hai rubato tutte le clienti!”. Quella battuta, in qualche modo, mi ha rassicurato e dato la forza per proseguire il mio cammino con entusiasmo. A seguito della sua triste scomparsa, nel 2013, sono intervenuti alcuni necessari cambiamenti organizzativi e a me è stata assegnata la direzione del negozio in Rinascente. Nonostante l’immenso dolore per la sua perdita, ero entusiasta di entrare in una realtà in cui tante volte avevamo lavorato insieme, che lui ben conosceva e che amava. E’ stato molto bello ed emozionante, ma con la morte di Aldo dentro di me si era spento qualcosa.
Come definiresti il tuo rapporto personale con Aldo Coppola?
Dopo la nascita di mia figlia, che oggi ha 8 anni, l’esperienza accanto ad Aldo Coppola è stata senz’altro la più bella di tutta la mia vita. Per me che arrivavo da una città lontana e non vivevo più la quotidianità con la mia famiglia, è stato come un secondo padre. Era un uomo molto severo, esigente, perfezionista, ma aveva anche un animo profondo e sensibile. Verso di lui non provavo una semplice stima, parlarne in questi termini sarebbe riduttivo. Era il Maradona dei capelli, un fuoriclasse, non ci sono aggettivi per descriverlo. Non è mai stato un “maestro”, ma era un creativo, un artista: trasmetteva, non insegnava. Tra i suoi assistenti non cercava il bravissimo esecutore, ma sceglieva chi potesse interpretare il suo pensiero, arricchendolo con un proprio apporto personale, pur non snaturando l’identità del suo messaggio. Lavorare al suo fianco è stata una storia d’amore che cresceva ogni giorno di più. La sua malattia e la sua morte sono stati per me un trauma a livello personale più che lavorativo e che, ti dico la verità, non ho ancora superato del tutto. Ci si abitua per forza alla mancanza fisica, ma dal punto di vista emotivo mi confronto ancora ogni giorno con un vuoto enorme.
A dicembre dell’anno scorso hai inaugurato il tuo laboratorio ed hai iniziato una nuova avventura, mettendoti in gioco in prima persona. Com’è nata questa idea e quali sono le caratteristiche del tuo progetto?
Con la dolorosa scomparsa di Aldo, è venuto a mancare il personaggio chiave in cui l’azienda si identificava. A quel punto, come succede sempre in casi come questi, si devono intraprendere nuove strade, diverse da quelle del passato. E’ stato così che ha avuto inizio questa nuova fase della mia vita. Il mio salone ha visto la luce in un solo mese e dieci giorni. E’ stato un cammino talmente fluido e naturale che ritengo dovesse per forza andare in questo modo, anche se non avessi voluto. Magari è stato proprio il Signor Aldo a guardare quaggiù. Io credo molto nelle energie, nel destino, ma soprattutto nel mio angelo custode. Per configurare il mio progetto ho preso spunto da un’iniziativa che avevo condiviso con lui durante la sua malattia: un laboratorio, inteso non come spazio fisico, ma come incontro di più persone che insieme condividono nuove idee, nuove forme, nuovi tagli, dando vita a nuove storie. Come vedi, questo non è propriamente un negozio, è un loft che trasmette una sensazione di casa e di famiglia. Voglio creare un rapporto con le persone che lavorano con me e con le mie clienti. Soprattutto non voglio fermarmi qui, ma desidero andare avanti e realizzare una serie di situazioni diverse, che mantengano questa identità. La gente che viene da me deve avvertire questa energia. In questi due mesi di attività sto già raccogliendo i primi frutti. Succede spesso che le mie clienti passino per un saluto e si trattengano a chiacchierare tra di loro, bevendo semplicemente qualcosa nell’area bar. Faccio persino fatica a chiamarle clienti, sono innanzitutto amiche.
Qual è il valore aggiunto oggi per chi fa il tuo mestiere? Anticipazioni sulle nuove tendenze che andrai a proporre nel tuo laboratorio?
Sono del parere che fare un lavoro fatto bene e in tempi veloci sia oggi una delle chiavi fondamentali per essere vincenti. Negli anni passati la maggior parte delle donne non lavorava e comunque le signore della Milano bene andavano dal coiffeur, dall’estetista, e trascorrevano lì la giornata. Oggi la mentalità è cambiata, i ritmi di vita sono diversi: una donna non sopporta di dover passare quattro ore dal parrucchiere. Il segreto è offrire un servizio di altissimo livello in tempi brevi. Nel mio laboratorio, inoltre, ho deciso di andare controcorrente. Aldo diceva che per essere un leader bisogna fare tutto il contrario di quello che fanno gli altri. In questo momento vengono proposte forme molto scalate e sfilate, più commerciali e soprattutto tecnicamente meno complicate. Io invece cambierò completamente genere. Voglio tornare alle geometrie, ai tagli pieni, alle frange importanti.
Ora che rappresenti te stesso sul mercato dell’hair styling, come procede la tua liaison con il mondo delle passerelle?
Il mio grande amore sono i backstage delle sfilate. Iniziando la mia nuova avventura, avevo messo in preventivo che avrei potuto perdere questo filone. Sino ad oggi avevo il biglietto da visita di un brand forte e pensavo che agli occhi delle case di moda questo facesse la differenza. Invece non è stato così. Si tratta infatti di soggetti altamente competenti che si affidano alle persone in base ad un rapporto di fiducia. Sono stato sorpreso e allo stesso tempo molto felice nel vedere che Dolce&Gabbana, ad esempio, mi abbiano continuato ad affidare tutte le loro celebrities, senza seguire la scia del brand.
Alessandro Gesuita oggi cosa sogna?
Devo stare attento a sognare perché poi tutto si avvera e non vorrei essere travolto da qualcosa di più grande di me! Scherzi a parte, cerco sempre quel di più che mi faccia andare avanti e quindi di sogni ne ho ancora tanti. In questo momento però sono soddisfatto perché il mio grande desiderio si è appena avverato. Magari se me lo chiedessi tra sei mesi ti darei un’altra risposta!
…ed è proprio così, le persone di successo sognano velocemente…