Gli alimenti che ci rendono felici, almeno per un momento, sono spesso nocivi per la salute
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Lo sappiamo tutti: alla fine di una giornata stressante è difficile resistere alla tentazione di affogare la frustrazione in un barattolo di gelato o in un sacchetto di patatine fritte. Anche se ciascuno di noi sceglie il proprio comfort food secondo preferenze individuali, di solito si tratta di alimenti dolci oppure molto grassi e salati. Un buon piatto di pomodori o una fetta di pane integrale, buoni e salutari, non hanno invece nessun potere consolatorio e, tendono anzi, ad aumentare la nostra tristezza. Perché il cibo che conforta l’anima non ce la fa proprio ad andare d’accordo con la salute?
COMFORT FOOD – Lo dice già il suo nome: il comfort food è un alimento che offre consolazione nei momenti di stress o di sofferenza. Si mangia, cioè, non per appetito, quanto piuttosto per “fame dell’anima”, prediligendo di solito alimenti legati a un vissuto profondo e individuale, spesso legato ai ricordi dell’infanzia. In alcuni casi, non frequenti, si può avere la fortuna di prediligere cibi abbastanza semplici e relativamente sani, ma per lo più la preferenza cade su vere bombe caloriche, molto zuccherate oppure ricche di grassi e di sale. Se la trasgressione avviene una volta ogni tanto, non c’è niente di male, ma se il nostro palato diventa troppo vorace e smanioso di consolazioni poco sane, si può perdere il controllo del proprio peso corporeo e dei parametri della salute. Ma perché il cervello, dato che il meccanismo parte proprio da lì, trae soddisfazione da alimenti così irresistibilmente insalubri?
I CENTRI DELLA RICOMPENSA – I cibi dolci riportano ai momenti rassicuranti dell’infanzia, momento in cui la nutrizione coincideva con i momenti di maggiore tenerezza tra le braccia della mamma; il salato invece ha un gusto più deciso e nasconde un bisogno di affermazione di sé: non a caso nella medicina cinese il sale è legato al principio Yang, quello maschile. In più, spesso i cibi salati hanno una consistenza croccante: sgranocchiarli con energia può quindi esprimere e sfogare la frustrazione di non riuscire ad esprimere se stessi al meglio. Che si tratti di sapori dolci o sapidi, in ogni caso, il comfort food ha il potere di attivare nel cervello alcune aree legate al senso di soddisfazione e ricompensa, in grado di sollecitare il rilascio di alcuni ormoni, in particolare di dopamina, un neurotrasmettitore in grado di generare piacere. Non a caso, le aree del cervello che si attivano, stimolandoci alla ricerca dei nostri cibi preferiti, sono attigue a quelle che presiedono ad altri generi di soddisfazione, come quella sessuale, e alle dipendenze, alcol e droga compresi. La dopamina, tuttavia, non può accumularsi nell’organismo, ma viene metabolizzata e nuovamente prodotta via via: per questo, quando i livelli scendono troppo, possono generarsi stati d’animo negativi, come tristezza e depressione, che ci spingono a cercare soddisfazione in una nuova abbuffata.
IL PALATO È SEDOTTO – Il nostro sapore preferito, che sia dolce, salato, grasso o croccante, è in pratica in grado di ammaliare il nostro palato, spingendolo a cercare questa soddisfazione sempre più spesso, dato che tra l’altro è una risposta immediata e infallibile a un desiderio profondo e quindi difficile da controllare. In effetti, siamo sempre a caccia di felicità e certi cibi sembrano un modo quasi infallibile e a portata di mano per procurarsela. Tutto questo, alla lunga, può generare una vera e propria dipendenza, capace di spingere fuori controllo l’ago della bilancia e di innescare un meccanismo che può portare all’obesità.
LE VIE D’USCITA – La prima strategia per spezzare il meccanismo è darsi un limite nella smania di buono. Se la forza di volontà non basta, e di solito è proprio così, mettiamo al bando dalla dispensa i cibi che possono metterci in tentazione, sostituendoli con altri di sapore e consistenza simile, ma con meno grassi, meno sale e quindi più salubri. Quando ci coglie un attacco di desiderio o di fame nervosa, cerchiamo di distogliere l’attenzione dal pensiero del cibo, concentrandoci su un’attività interessante e coinvolgente, capace di assorbirci e di farci pensare ad altro. Se il problema rasenta il limite di una vera e propria dipendenza, possiamo cercare di analizzarne le ragioni, magari con l’aiuto di un professionista, per rimuovere le cause di stress che ci spingono a cercare conforto continuo nel cibo, e individuare le ragioni per cui certi alimenti sono per noi così irresistibili.