Congedi parentali

La strada in salita dei permessi per paternità

Sempre più padri scelgono di usufruire dei congedi parentali, ma la percentuale rispetto alle madri è ancora irrisoria.

07 Mag 2014 - 09:00
 © dal-web

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Il congedo di maternità ha una storia antica (in Germania queste politiche esistono dal 1883) mentre quello parentale è stato introdotto da una direttiva europea solo nel 1996. Da allora ogni Paese ha fatto le sue leggi: il congedo parentale, cioè utilizzabile da entrambi i genitori, può durare settimane, mesi o anni (come in Germania) e con diverse percentuali di mantenimento del reddito. In Italia il tempo complessivo che i genitori possono dividersi è di 10 mesi, aumentabili a 11, fruibili anche contemporaneamente, entro i primi 8 anni di vita del bambino (dati Inps). Ma un singolo genitore può prendersi al massimo 7 mesi con il 30% dello stipendio.

Nonostante queste leggi siano state introdotte da quasi 20 anni, solo il 7% dei padri italiani usufruisce del congedo parentale (gli svedesi il 69%, dati Istat). Insomma in 9 casi su 10 sono le madri a chiedere tale congedo, creando un abisso nella parità di genere. Se poi consideriamo il tempo dedicato ai figli i dati sono ugualmente sconcertanti: i padri trascorrono con i figli 38 minuti della loro giornata, le madri 4 ore e 45 minuti (dati Sirc).

I motivi di tale disparità possono avere diverse nature. Dal lato pratico, un padre, che solitamente ha il salario più alto all'interno del nucleo familiare, prendendo solo il 30% di stipendio può arrecare un danno economico alla famiglia maggiore di quello che arrecherebbe la madre. Se salisse la percentuale di indennità probabilmente i padri prenderebbero più agilmente il congedo parentale, come avviene in Svezia, dove si percepisce l'80% del salario e a usufruire del congedo sono 70 padri su 100.

Ma la natura di questa disparità ha radici profonde e lontane che riguardano l'attaccamento che sembrerebbe avere il bambino nei confronti della madre. La teoria dell'attaccamento è stata elaborata da John Bowlby, psicoanalista britannico, e risale agli anni '70. Da allora sembra che la società sia rimasta ferma a queste teorie: l'attaccamento è una faccenda che riguarda il rapporto mamma-bambino. Il ruolo del padre prende importanza solo con il passare degli anni, in particolare nel primo anno di vita del bambino l'attaccamento verso il padre sarebbe inesistente. Se ci pensiamo, queste idee sono ancora ben radicate nei ruoli di normalità genitoriale. Infatti, un comportamento paterno che si distoglie da queste teorie viene definito "mammo": un termine che evidenzia un surrogato della paternità.

Queste teorie non sono per nulla fuori del tempo, basti pensare alla quotidianità che vivono la maggior parte dei genitori. Se è il padre a chiedere il congedo per paternità, questo viene visto dal datore di lavoro come uno scarso attaccamento alla professione. Le madri, anche quando non escono dal mercato del lavoro, tendono a ridurre l'orario di lavoro per aumentare quello di cura familiare. I permessi per malattia del figlio, inserimento all'asilo, colloqui con gli insegnanti sono presi quasi sempre dalle madri. L'uguaglianza di genere sembra essere una strada ancora troppo in salita da percorrere.

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