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"A 40 anni c'è ancora voglia di nuove sfide per rinnovare l'entusiasmo e risvegliare la curiosità"

Giusi Violante, Direttore Marketing Communications di Coty Luxury: una carriera di successo senza mai trascurare famiglia e passioni

di Carlotta Tenneriello
30 Apr 2020 - 09:29
 © ufficio-stampa

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Nata e cresciuta in un piccolo paese in Calabria, si è trasferita a Torino con la famiglia non dimenticando mai le sue origini, nè i suoi valori: così Giusi Violante, dopo la laurea, ha iniziato un percorso professionale che l'ha portata fino a Parigi e che oggi la vede ai vertici di Coty Luxury, azienda americana leader nel mondo dei profumi e dei cosmetici.

Giusi Violante, Direttore Marketing Communications di Coty Luxury

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© ufficio-stampa  | Giusi con il compagno e i piccoli Viola e Milo
© ufficio-stampa  | Giusi con il compagno e i piccoli Viola e Milo
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© ufficio-stampa | Giusi con il compagno e i piccoli Viola e Milo

© ufficio-stampa | Giusi con il compagno e i piccoli Viola e Milo

Buongiorno Giusi, è un piacere incontrarti!
Grazie, in effetti mi piace l’idea di conoscerci di persona e di chiacchierare guardandoci negli occhi.

Vero, una bella opportunità. Intanto ammetto di essere affascinata dal tuo francese.
Sì, parlo abbastanza bene il francese perché ho vissuto qualche anno a Parigi. Ma in verità sono stata avvantaggiata, perché l’ho studiato un po’ a scuola.

Pensavo che a scuola si imparasse perlopiù l’inglese ormai…
Non dove studiavo io. Sono nata e cresciuta in un piccolo paesino dell’Aspromonte: meno di duemila anime, ci si conosceva tutti. A scuola c’era solo una sezione e tutti noi bambini siamo cresciuti insieme: da me, che ero figlia del medico (l’unico ovviamente), ai figli dei braccianti, come a quelli dei falegnami, senza distinzione di classe e di ceto. Il francese era ancora la lingua straniera di riferimento in una scuola di paese negli anni ‘80, considerato una lingua d’élite; quando mi sono trasferita a Torino con la mia famiglia, al liceo, l’inglese era il must ed io facevo parte di una minoranza fuorimoda. Un limite che si è trasformato in un vantaggio anni dopo, quando sono entrata nel mondo del lavoro, proprio in una società francese. Tuttavia sono fortunata: ho orecchio per le lingue e quindi anche con l’inglese non ho mai avuto difficoltà.

Dalla Calabria a Torino per poi arrivare a Parigi: mi racconti com’è andata?
Una storia lunga, per certi versi romantica. I miei genitori si sposarono giovanissimi, sfidando le convenzioni nella Calabria di allora, provenivano infatti da estrazioni sociali molto diverse. Mio papà, medico, era figlio di un postino e di una sarta, mentre mia mamma, donna di lettere, era di nobili origini. Un matrimonio d’amore da cui sono nati quattro figli, tra cui me che sono la penultima. Negli anni novanta, mio papà decise di accettare un’importante offerta di lavoro al Nord per dare a tutti noi maggiori opportunità e mia mamma, che aveva rinunciato a lavorare per dedicarsi alla famiglia, ovviamente lo seguì e così ci trasferimmo. A Torino non fu facile inserirmi, arrivavo davvero da un altro mondo, ma il bagaglio di esperienze della mia infanzia, i giochi ed il confronto coi ragazzini del mio paese, tutti così diversi e con pochi mezzi a disposizione, mi diede la forza e qualche idea per superare le mie difficoltà culturali e sociali di allora. A questo aggiungi che i miei genitori mi hanno impartito un’educazione molto severa ove il buon risultato scolastico non era negoziabile. Dopo la laurea, mi fu proposto di fare uno stage in una importante azienda multinazionale francese di cosmetici ed accettai; la trasferta nella capitale arrivò successivamente.

Come è stata questa esperienza lavorativa?
Essenziale e incredibilmente formativa. Mentre stavo terminando gli studi avevo in mente di proseguire con l’attività di ricerca, poi spinta dal mio professore accettai di inserirmi in azienda. Fui conquistata da quella realtà, entrai nel marketing, e partendo da uno stage, pian piano ho scalato molti gradini della carriera manageriale diventando Direttore Generale della mia unità di business. 

In tutto questo la famiglia come si inserisce?
La maternità per me non è stata una scelta ponderata e consapevole, non mi sentivo “madre” prima di esserlo. L’istinto materno è cresciuto con me, ma solo quando sono diventata mamma, peraltro in un momento cruciale della mia carriera: proprio pochi mesi dopo il mio trasferimento a Parigi, infatti, rimasi incinta della mia prima figlia. Il mio compagno desiderava tantissimo una famiglia e io, assecondando questo suo desiderio, non ho voluto che la maternità fosse un ostacolo al mio lavoro. Cosi, tra un aeroporto ed una metropolitana, è arrivata Viola, il mio colore preferito. Viola ha illuminato le nostre vite ed anche quelle dei nonni, che stavano affrontando un periodo di grande complessità legato alla salute di mio fratello.  

© ufficio-stampa

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Maternità e carriera: è difficile?
Per quanto mi riguarda, ho affrontato le maternità con stupore, ma anche con grande tranquillità. Vivevo in Francia, lì la gravidanza è vissuta e trattata non come una malattia o una invalidità, ma semplicemente come una condizione naturale e transitoria. Ho lavorato sino quasi al parto senza problemi in entrambe le gravidanze, sono stata sempre bene, ed in questo sono stata più fortunata di altre. Adesso ho due bambini, entrambi nati mentre lavoravo come manager per la stessa società francese per la quale questo non ha mai costituito una difficoltà. La verità è però che con la maternità si cambia dentro, diventare madri ci fa vivere e vedere le cose diversamente, da un’altra prospettiva: cambiano le priorità comunque. 

Mi fai un esempio?
Certo, eccolo. Alla mia bambina di otto anni la maestra aveva attribuito il ruolo di team leader (diciamo così!) di un gruppetto di compagni di classe per una ricerca; lei era orgogliosissima e mi chiese di organizzare il lavoro a casa nostra. Non ho avuto esitazioni, sono rimasta a casa dall’ufficio per darle una mano. A volte magari non riesco a presenziare a una recita scolastica, ma quando è importante per lei e per me esserci, non ho dubbi su cosa sia davvero irrinunciabile.

So che lavori in Coty Luxury da pochi mesi: cosa ti ha spinto al cambiamento?
Dopo diciotto anni in azienda, sentivo di volermi cimentare in qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, nuove sfide che mi dessero entusiasmo e che risvegliassero in me la curiosità della neolaureata anche se ho superato i quarant’anni. Coty per me rappresenta questo nuovo capitolo della mia vita professionale. È un’azienda dinamica, con forti valori e un portafoglio di marchi fantastici in tutti i settori del beauty. Accettare questo ruolo è stato quindi molto significativo per la varietà di opportunità che mi offre, di crescita e di impegno in ambiti diversi e stimolanti.  

Per una donna occuparsi di cosmetici deve essere molto bello.
Lo è, anche se io non mi identifico con lo stereotipo femminile. Sono sempre stata un po’ un maschiaccio: ho tre fratelli maschi e con loro uscivo e giocavo in strada quando ero in Calabria, un privilegio che allora non era concesso a tutte le bambine. La cultura corrente (all’epoca ed in parte anche oggi) voleva che i maschi potessero uscire, stare fuori, a loro veniva offerta una scelta che era - ed è - di libertà; alle bambine invece era suggerito di stare in casa, a fare giochi e attività più domestiche, cioè a loro veniva subito proposta una vita che era di rinuncia. Mia mamma in parte scelse questo destino, rinunciando a coltivare il suo talento per la scrittura e decidendo di dedicarsi totalmente a noi: per questo forse mi spinse a non fare altrettanto.

A parte profumi e beauty, che cosa ti interessa?
Gli orologi, il buon vino e la passione per il restauro.

Davvero singolare! Vino e legno, una strana accoppiata…
Hanno origine nella mia infanzia. Mio nonno possedeva terreni coltivati a vigna. Il vino non era eccellente, ma ricordo con grande emozione la raccolta dei grappoli e poi la vendemmia. Dopo aver spremuto l’uva si faceva una grande festa a cui partecipavano tutti: le donne che erano state impegnate nella raccolta e gli uomini che avevano trasportato i carichi e che si erano occupati della spremitura. Quanto al restauro, anche in questo caso mi porto dietro le esperienze della mia vita calabrese. Accanto a noi c’era una falegnameria e siccome l’albero più diffuso era l’ulivo ho ancora nelle narici il profumo di quel legno e la polvere delle seghe. Ancora oggi, quando ho qualche minuto libero, mi cimento come falegname… il mio compagno mi viene a recuperare in mezzo alla polvere e agli attrezzi, un vero divertimento anche per i miei piccoli.

Adesso vivi a Milano?
No, ho deciso di rimanere a Torino, che a mio avviso è una città con un’alta qualità di vita; ogni mattina prendo il treno per venire a lavorare e riprendo il treno ogni sera per tornare a casa ed arrivare in tempo per cenare con i miei bambini e per leggere loro una storia. I miei genitori e Silvia, la nostra tata un po’ punk, mi danno una mano con i bambini, ma il mio vero sostegno è il mio compagno, un uomo e un padre straordinario. E’ Partner di una grande società di consulenza strategica e spesso ci scambiamo i calendari outlook per gestire gli appuntamenti di famiglia, ma se e quando abbiamo bisogno, lui c’è sempre. Gli devo tantissimo, per me è fondamentale averlo accanto: sa essermi vicino al momento giusto e farmi anche ridere quando ne ho bisogno. Devo anche a lui il successo nel mio lavoro e la nostra splendida famiglia.

Un episodio curioso?
Riguarda Milo, il mio piccolo. Quando al mattino capita di tardare a svegliarci, e lui invece è già sveglio, si alza, prepara la colazione e poi ci viene a chiamare. Non trovi che sia tenerissimo? Io lo adoro…

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