Clara Magnanini, Group Communication Director di Marcolin
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Clara Magnanini, Group Communication Director di Marcolin, si racconta a Tgcom24
di Carlotta Tenneriello© Ufficio stampa
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Clara, partiamo da te: che bambina sei stata?
Da bambina ero timida, riflessiva e con uno spiccato senso del dovere. Ho avuto una famiglia che mi ha allenato alla disciplina, a pormi obiettivi sfidanti e a considerare i piccoli traguardi raggiunti non tanto come destinazione finale, ma come occasione per alzare l’asticella. Questo mi ha infuso determinazione e una sana inquietudine a misurarmi spesso in contesti al di fuori della mia zona di comfort, proprio le situazioni da cui ho tratto i più importanti insegnamenti e le occasioni di crescita personale e professionale.
Il tuo sogno nel cassetto?
In realtà ne ho più di uno. Il primo sarà poter dire, quando i miei due figli saranno grandi, che sono stata una brava mamma, nonostante le difficoltà di essere un genitore presente nei miei sforzi di equilibrismo tra maternità e impegni professionali. Oggi sono madre, moglie e donna con la valigia in mano, ma credo fortemente nella guida attraverso l’esempio e nella bontà delle relazioni qualitative. Il secondo sogno è poter contribuire a restituire, nel mio piccolo, un valore sociale attraverso il mio lavoro: il mio ruolo attuale di Direttrice Comunicazione e Sostenibilità me ne dà la possibilità. Occuparsi di comunicazione aziendale è anche fare cultura e la cultura è il motore dell’evoluzione. La sostenibilità ha uno scopo intrinseco di trasformare le aziende in attori sociali e convogliare il profitto in azioni e progetti che rendano il nostro pianeta un posto migliore, per noi e per le generazioni future. Tutto questo restituisce un senso più alto a quello che può sembrare solo una professione.
Laurea in legge con il massimo dei voti e subito un percorso professionale in ascesa.
Una laurea che non ha avuto una diretta conseguenza in quello che sono diventata. Quando avevo 18 anni, con una identità ancora non pienamente definita, mi immaginavo avvocato o giudice minorile. Poi, pian piano, sono emerse le mie vere passioni e ho deciso di inseguire quello che i giapponesi chiamano "Ikigai", la ragion d’essere, la ragione di vita. Discussa la tesi, mi sono trasferita a Milano e iscritta a un master in comunicazione; da lì ho tracciato un nuovo percorso che mi ha portato verso quel che sono oggi.
Da Milano a Modena, dall’agenzia alla grande azienda di automotive: com’è andata?
Sono di Modena e nativa della motorvalley. Ho vissuto sotto il rombo di motori potenti, in un luogo unico al mondo, in cui si cresce vedendo sfrecciare supercar: non semplici auto, ma sogni a quattro ruote, capolavori di tecnica e di design. Tutte le volte che nel weekend tornavo a casa, passavo davanti al rinnovato stabilimento Maserati, che in quel periodo era in piena fase di rilancio. Mi dicevo: “Io vorrei proprio lavorare lì”, e così è andata. Sono stati quattro anni straordinari in cui ho acquisito la padronanza degli strumenti e delle leve della comunicazione in un periodo dove, in assenza dei social, la reputazione e la conoscenza dei marchi si costruivano grazie a relazioni coi media e i grandi eventi. In seguito è arrivata anche l'esperienza in Lamborghini: in sostanza, direi un periodo che mi ha segnato profondamente e che mi ha nutrito di una ricchezza di relazioni e di esperienze, a cui ripenso con sincera gratitudine e profondo affetto.
“Donne e motori…”: ma è poi vero che l’universo femminile è così lontano dal mondo delle auto di lusso?
L’automotive è stato per tanto tempo radicato su una cultura machista e su modelli di leadership aggressivi e fortemente competitivi. Lo scoglio più difficile è stato conquistare la credibilità e l’autorevolezza in un contesto in cui le competenze spesso si misuravano sulla base del genere, piuttosto che sul valore e sul merito individuali. Il rischio, in tutti questi casi, è scendere a compromessi con se stessi e omologarsi a modelli precostituiti, non appartenenti alla propria identità. Poi sono arrivati due mentori, che mi hanno mostrato l’esistenza di approcci diversi attraverso un modello di leadership impostato su rispetto, gentilezza, integrità, visione e coraggio. Quello è stato il momento in cui ho capito cosa volevo diventare. Oggi, l’automotive sta fortunatamente cambiando pelle, sotto la spinta della profonda trasformazione valoriale che sta investendo tutto il mondo del business.
Worklife balance, se ne parla parecchio.
Scontato dire che per una donna sia più complicato, ma è anche un alibi. Noi donne e madri abbiamo la tendenza ad accentrare la gestione familiare e a non volere delegare: un atteggiamento che deresponsabilizza mariti o compagni, relegandoli a un ruolo secondario, solo apparentemente partecipativo.
Essere donna e top manager spesso non è facile.
Non lo è se continuiamo a ritenere che i pesi genitoriali tra madri e padri siano differenti. A parità di ruoli, è difficile per entrambi.
Dalle auto all’occhialeria e al mondo del fashion, i motivi che ti hanno portato ad accettare una nuova sfida.
Dopo quasi vent'anni nei motori avevo un forte desiderio di esplorare un nuovo settore. Ho sempre avuto una fortissima passione per la moda, sono cresciuta col mito di brand come Gucci, Versace, Chanel e Dior. Sul comodino avevo sempre l’ultimo numero di Vogue e la mia camera era tappezzata di foto di Steven Meisel ed Herb Ritts. In quel momento è arrivata Marcolin e mi sono buttata, in un settore completamente nuovo per me, con un cambio di città e viaggi continui tra Modena, Milano e Longarone. Faticoso? Si, ma le sfide sono carburante per viaggiare più veloci di prima.
Marcolin è leader del settore: cosa fa la differenza secondo te?
La cura maniacale nella qualità dei prodotti, la serietà e l’integrità con cui vengono gestite le relazioni coi partner e con clienti. Aggiungo anche il profondo aspetto umano in tutte le relazioni, la sapienza artigianale, la creatività e una forte cultura inclusiva, in cui la parità di genere è qualcosa di scontato e non acquisito.
Le tendenze moda per i prossimi mesi.
Nell’eyewear il post Covid ha dato impulso a un ritorno al Bauhaus, a forme geometriche e colori primari, per effetto di un bisogno di stabilità e funzionalità. A questo si è aggiunto il trend del metaverso, diventato luogo di rifugio per molti. Materiali dalle superfici scure e lucide, o il metallizzato di certe collezioni fanno da richiamo al mondo del fantastico, dal gotico al fantasy. Infine, il nuovo Umanesimo, quello che nella moda e nel luxury viene definito il "quiet luxury". Il lusso non ostentato, che si nutre di dettagli e si sveste di tutto quello che è sfacciato o eccessivo. Un lusso senza tempo destinato a durare, anche in ottica di approccio sostenibile e lotta allo spreco, in senso contrario rispetto alle logiche del fast fashion, responsabile del 10% delle emissioni del nostro pianeta.
Nel tuo armadio non può mai mancare…?
Un blazer e un abito lungo. Non sono una persona stravagante nell’abbigliamento: amo i capi sobri, raffinati e, sebbene sia attratta dai colori, nella maggior parte dei casi propendo per abiti in bianco e nero.
Una curiosità su di te
Amo scrivere. A vent’anni ho scritto un breve romanzo, poi rimasto nel cassetto. Magari un giorno ci rimetterò mano e cercherò un editore…
Un tuo suggerimento alle ragazze che desiderano fare un percorso di carriera in azienda.
Il punto di partenza deve essere la cosiddetta "self reflection", ovvero leggersi dentro, trovare innanzitutto la propria identità e unicità. Una volta individuata, per migliorare bisogna aver chiaro quello che si vuole diventare e la strada da percorrere, lavorando sui punti di forza per farli diventare unici e distintivi. Occorre seguire la passione e avere senso di responsabilità, trasformare errori e sconfitte in nuovi inizi, credere sempre nei propri sogni. Come diceva Enzo Ferrari "se lo puoi sognare, allora lo puoi fare".