Ci sono alimenti capaci di alleviare stress e dispiaceri: come combattere il malumore senza nuocere alla linea
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E’ capitato a tutti: la giornata è stata difficile e siamo con il morale a terra, così per tirarci un po’ su, mettiamo in tavola il nostro piatto preferito o un dolce speciale. Può trattarsi di una pizza, o di una semplice fetta di pane spalmata con marmellata o con crema al cacao, di un gelato al cioccolato o di un pollo arrosto: ciascuno ha il proprio cibo consolatorio, al quale attingere per calmare un languorino e insieme per dimenticare le ragioni di scontento. Da qui l’espressione “comfort food”, ovvero “cibo di conforto”. Se il meccanismo non si attiva con troppa frequenza non c’è nulla di male: in fondo nutrirsi è un’esigenza primaria. Se però la situazione sfugge al controllo, la linea e soprattutto la salute rischiano di risentirne. Ecco allora come funziona questo tipo di compensazione e come evitare di cadere nella dipendenza.
PERCHÉ SI CHIAMA COSÌ – Il primo caso in cui è stata usata questa espressione risale probabilmente al 1966, quando il quotidiano statunitense Palm Beach Post, in un articolo sul tema dell’obesità, affermava che gli adulti, quando vivono una situazione di forte stress, cercano sollievo nel “cibo di conforto”. Una celebre descrizione degli effetti di questi alimenti consolatori, di solito semplici, rassicuranti e legato ai bei ricordi dell’infanzia, è offerta da Marcel Proust che, nel suo “Alla ricerca del tempo perduto”, scrive: "Sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii. Un delizioso piacere m’aveva invaso e subito m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita… non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale".
A CIASCUNO IL SUO – Una delle caratteristiche del comfort food è che ciascuno attribuisce valore consolatorio a cibi diversi, proprio perché di solito si tratta di alimenti legati a un vissuto profondo e individuale. A volte sono cibi semplici e relativamente sani, altre volte si tratta di vere e proprie bombe caloriche, dolci o salate. In ogni caso si tratta di cose che mangiamo non per fame, ma per una spinta psicologica, con il preciso intento di compensare un disagio interiore. L’associazione tra conforto e un certo sapore è spesso inconscia, ma è di solito basata sull’associazione a ricordi piacevoli del lontano passato.
DA DOVE NASCE L’IMPULSO – L’associazione che fa scattare il desiderio d buoni sapori quando ci sentiamo a disagio comincia dalla prima infanzia, dalla classica caramella offerta al bambino per superare un piccolo dispiacere. Alcuni di questi cibi, ad esempio il cioccolato fondente, hanno anche la funzione di favorire il rilascio di sostanze che stimolano il buon umore, come endorfine, dopamina e serotonina, ma il comfort food è legato soprattutto al valore emotivo che gli attribuiamo.
QUANDO DIVENTA DIPENDENZA – Purtroppo il fatto di utilizzare un alimento come una sorta di antidepressivo alimentare può avere effetti nefasti. Il primo e più evidente è registrato dall’ago della bilancia: risolvere a tavola le ansie della vita ha effetti importanti sul peso corporeo. La dipendenza da cibo è una delle cause più frequenti di obesità, specialmente quando il meccanismo che ci spinge a mangiare ogni volta che ci sentiamo ansiosi o infelici diventa automatico e inconsapevole. In questi casi è anche particolarmente difficile rispettare una dieta dimagrante perché il rapporto con la tavola è compulsivo e simile alla dipendenza da droghe e gioco di azzardo.
PER CONTROLLARCI DOBBIAMO CONOSCERE NOI STESSI – Tutto dipende dalla gravità del problema. Se siamo in forte sovrappeso e dobbiamo spezzare un meccanismo già radicato occorre senz’altro rivolgersi a uno specialista. Se invece dobbiamo combattere l’impulso serale a spiluccare davanti alla tv, possiamo concentrare la nostra attenzione su quali valori emozionali attribuiamo ai diversi cibi. Impariamo a costruire il nostro menù quotidiano comprendendo anche cibi gratificanti e concedendoci, di quando in quando, un premio che possa rientrare nel bilancio calorico previsto per quella giornata. Invece di coccolarci con il cibo, impariamo a combattere la malinconia con armi diverse, ad esempio con la compagnia degli amici, con un po’ di sport o con altre attività piacevoli. La nostra linea, ma anche la nostra autostima, ci ringrazieranno.