Come ci poniamo nei confronti della nostra immagine riflessa e perché tendiamo a focalizzarci solo sui difetti
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Guardarsi allo specchio è uno dei primi gesti che compiamo quando ci svegliamo alla mattina e che ripetiamo più volte nel corso della giornata, mentre ci prepariamo per uscire o rubando uno sguardo nella superficie riflettente di una vetrina per strada. A volte siamo soddisfatti dell’immagine che ci viene restituita, ma per lo più troviamo qualche motivo di scontento: non siamo abbastanza in forma, i capelli ci sembrano in disordine, il colore che indossiamo non ci dona quanto ci saremmo aspettate. Perché cerchiamo con tanta insistenza un’immagine di noi stessi e perché, così spesso, tendiamo a focalizzare l’attenzione sui piccoli particolari che non ci piacciono piuttosto che sulla visione di insieme?
Studiando la corporeità umana, gli psicologi e i filosofi hanno sottolineato che, a differenza degli oggetti inanimati, ciascuno di noi percepisce il proprio corpo “dall’interno”, sperimentandone in modo immediato lo stato di benessere o di disagio, ad esempio il caldo o il freddo, e la posizione nello spazio. Quando ci osserviamo allo specchio, invece, ci vediamo “dall’esterno”, ossia come se si trattasse di un’altra persona, con la consapevolezza che quell’io riflesso dal vetro è l’immagine che di noi hanno gli altri. Di solito le due immagini, quella esterna e quella interna, non si discostano molto una dall’altra, ma quando ciò accade proviamo disagio e insofferenza, tanto da pensare: “ma quello non sono io!”. La prima reazione è intervenire in ogni modo per migliorare l’immagine riflessa, per avvicinarla il più possibile a come ci vediamo o vorremmo essere. Sul fatto che l’immagine riflessa ci appartenga davvero, anche se stentiamo ad apprezzarla, è dimostrato da diversi studi: ad esempio, studiando i neuroni specchio, gli scienziati hanno scoperto che quando osserviamo una foto che raffigura una nostra mano, il nostro cervello attiva i neuroni necessari a muoverla molto più di quanto non avvenga se osserviamo la foto della mano di un’altra persona.
L’immagine di noi stessi allo specchio è dunque estremamente interessante per il nostro cervello. Dato che ci sono alcune prospettive di cui non possiamo avere visione diretta, come il viso o la parte posteriore del corpo, non possiamo fare a meno di ricorrere a una superficie riflettente per avere una conferma del nostro aspetto. La questione non è secondaria perché, come ben sappiamo, il nostro aspetto fisico è di importanza cruciale in molte situazioni. Secondo una ricerca pubblicata di recente sulla rivista “Evolution e Human Behaviour” a ogni età della vita trascorriamo un sesto del nostro tempo a occuparci della nostra immagine. La necessità di conferme sul proprio aspetto è particolarmente viva nei periodi della vita in cui costruiamo l’immagine che abbiamo di noi stessi e la nostra autostima, quindi soprattutto in adolescenza: ecco quindi spiegate le interminabili sessioni di trucco e di acconciatura dei teenagers occupando per ore il bagno di casa. In quell’età, in cui si comincia a sperimentare il desiderio di indipendenza dagli adulti, il corpo e la propria immagine sono i primi ambiti su cui un ragazzino ha la possibilità di sperimentare e di esercitare il proprio controllo.
Un altro studio ha dimostrato che, osservando l’immagine di un volto umano diverso dal nostro, tendiamo a notare e a ricordare l’aspetto generale più che i particolari: lo dimostrano le performances dei partecipanti allo studio, i quali dopo aver memorizzato l’immagine di insieme nelle foto di alcuni visi e di alcune stanze di appartamento, sono stati in grado di ricollegare la foto di un dettaglio degli appartamenti (ad esempio una porta o un tavolino) con maggiore facilità rispetto a un naso o a un orecchio, riattribuendole al viso a cui appartenevano. Insomma, quando osserviamo un volto diverso dal nostro il cervello tende a cogliere l’immagine di insieme, mentre se osserva un oggetto si comporta in modo più analitico. Quando ci osserviamo allo specchio, invece, trattiamo l’immagine riflessa come se fosse un oggetto esterno e quindi siamo in grado di coglierne maggiormente i particolari, soprattutto quelli che non apprezziamo, ma tutti gli altri non ci vedranno se non nel nostro insieme e il difetto passerà inosservato.
Sembra paradossale, ma chi ha un’opinione molto alta di se stesso e passa molto tempo ad ammirare la propria immagine riflessa, non sempre ha un buon rapporto con lo specchio. In realtà, i narcisisti non patologici spesso sperimentano oscillazioni nella propria autostima e trascorrono più tempo della media in cerca di conferme, sperimentano conflitti emotivi e altri sentimenti negativi. Questa curiosa scoperta deriva da uno studio nel quale diversi soggetti affetti da narcisismo in varie forme di gravità sono stati sottoposti a risonanza magnetica mentre osservavano alcune foto di loro stessi: lo strumento ha mostrato che le aree del cervello che entravano in attività non erano quelle legate alla gratificazione e all’auto-ricompensa, ma quelle dei conflitti e comunque degli stati d’animo negativi.
In psicologia, lo specchio può trasformarsi, con la cosiddetta “tecnica dello specchio”, in uno strumento, che aiuta a migliorare la nostra autostima. Uno degli esercizi che vengono proposti ai pazienti che devono rafforzare la loro opinione di se stessi è di trascorrere un po’ di tempo davanti allo specchio, esaminando in modo attivo e non giudicante la propria immagine, e rivolgendo a se stessi frasi di auto-motivazione, precedute dal proprio nome, come “Ti voglio bene così come sei”, “Mi prendo cura di te e ti accetto per quella che sei”. Le prime volte, l’esercizio sembra assurdo e anche un po’ ridicolo, ma gli esperti assicurano che è una buona strada per imparare ad avere un approccio più gentile nei confronti di se stessi.