La scienza lo conferma: blocca gli sportivi al momento decisivo, ma è un’ansia da prestazione che prima o poi conosciamo tutti
In termini tecnici si chiama nikefobia: è la paura di vincere, quel brivido di un attimo che tremare il piede del calciatore al momento di calciare il rigore che può assicurare la partita alla sua squadra, oppure il secondo di panico che compromette l’esito dell’ultimo esame prima della laurea, o il piccolo errore che manda in fumo la possibilità di ottenere finalmente una meritatissima promozione sul lavoro. La paura di vincere è legata a meccanismi inconsci legati all’autostima e alla sicurezza in se stessi, ma secondo la scienza può avere una causa biologica.
Sembra un controsenso: si dovrebbe avere semmai timore di perdere, ma in realtà non è così. La nikefobia (dalla parola greca nike, vittoria e phobos, paura), è una sorta di blocco psicologico ed emotivo che porta lo sportivo di successo a sbagliare l’ultimo lancio, lo studente a procurarsi un infortunio o un malanno che gli impedirà di presentarsi all’esame finale e ciascuno di noi, nella nostra esperienza personale, a non riuscire ad affrontare un ostacolo o una prova, di solito totalmente alla nostra portata, ma dalla quale dipende un cambiamento al quale aspiriamo con tutte le nostre forze. Infatti, la paura di vincere non riguarda solo lo sport, ma tutte le esperienze in cui sia necessario un pizzico di spirito di competizione per arrivare al successo: la nikefobia può colpire dunque anche i manager, gli imprenditori, gli agenti di commercio, gli influencer, gli studenti e moltissime altre categorie di persone che abbiano un traguardo da tagliare e un obiettivo da conseguire.
Secondo la scienza, la paura di vincere ha una base biologica, almeno per quanto attiene al mondo sportivo. Tutto dipenderebbe dal modo in cui le emozioni e gli stati mentali influenzano il movimento e guidano le azioni dell’atleta in campo durante la gara. Secondo uno studio condotto negli Stati Uniti dal Salk Institute For Biological Studies e pubblicato sulla rivista scientifica eLife, l’atleta sotto stress sarebbe vittima di una particolare dinamica chiamata “choking”, che significa soffocamento. L’affollarsi delle emozioni porterebbe il cervello a inviare segnali unidirezionali al circuito del movimento, di fatto limitandolo. Lo studio ha scoperto infatti che le emozioni sono in grado di esercitare un’influenza diretta sul movimento: analizzando il comportamento di pazienti in condizioni di depressione, gli studiosi hanno notato che questi subiscono una diminuzione del movimento fisico proprio a causa di processi emotivi che vengono interrotti e da uno stato motivazionale “scarico”. Oltre a spiegare le ragioni per cui un goleador può trovarsi a sbagliare il rigore decisivo, lo studio potrebbe portare a nuove strategie per il trattamento di disturbi come ansia e depressione e in particolare di quelle malattie in cui il paziente mostra forme di movimento interrotto, come il disturbo ossessivo-compulsivo.
La nikefobia, lo abbiamo visto non colpisce solo atleti professionisti e di alto livello, ma sportivi amatoriali e persino principianti alle loro prime gare: in ogni caso si tratta di soggetti che avrebbero tutte le capacità per tagliare il traguardo vittoriosi, ma che per qualche ragione inspiegabile, sul più bello si bloccano e ottengono un risultato più scadente della loro media. La paura del successo, paradossalmente, nasce spesso dal suo contrario, ovvero dalla paura di perdere, dal timore di deludere le aspettative altrui, dal peso della responsabilità e dal timore di fallire, perfino dall’ansia per le conseguenze che potrebbero derivare dalla vittoria. Quest’ultimo aspetto accomuna lo sportivo al manager, il quale desidera moltissimo, ad esempio, una promozione, ma teme il maggiore carico di responsabilità che può venirgli dal nuovo ruolo e la conseguente necessità di mantenere uno standard più elevato di prestazioni. Può fare paura anche la consapevolezza di dover affrontare in futuro avversari sempre più forti e di dover uscire dalla propria comfort zone. In altri casi, il timore di vincere può essere legato a bassa autostima e persino alla cosiddetta “sindrome dell’impostore”, quel meccanismo distorto per cui non ci sentiamo all’altezza della nostra buona reputazione. La nikefobia può manifestarsi con il continuare a rimandare il momento della prova, arrivando perfino ad atti di autosabotaggio, come procurarsi infortuni più o meno gravi, o comunque creandosi degli ostacoli che impediscano lo svolgersi del test: tutto questo di solito avviene inconsapevolmente, in modo da avere una valida ragione per mollare senza senso di colpa e senza doversi sottoporre al giudizio altrui.
La nikefobia è un disturbo che va affrontato senza perdere tempo, perché provoca isolamento, senso di frustrazione e ulteriore deficit di autostima. Occorre intervenire senza indugio soprattutto se la persona colpita è un atleta di talento o un professionista giovane e dalle grandi potenzialità che potrebbero vedere compromessa la loro carriera. In questo caso ci si può rivolgere a un mental coach, oppure a uno psicologo specializzato. Nella vita di tutti i giorni, può essere sufficiente fare affidamento su una rete affettiva e amicale di supporto e su figure di riferimento che sappiano stimolare l’autostima del soggetto, aiutandolo a credere in se stesso e nelle sue buone qualità, e ad affrontare e superare le proprie paure.