Il bisogno di felicità dei collaboratori è al centro della “Happiness Week at Work”, ma non tutti hanno le stesse necessità
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Dopo le misure di contenimento per la pandemia e l'uso dello smart working, adesso è tempo di rientrare nei luoghi di lavoro, ma mai come quest'anno, al termine delle vacanze estive, emerge un aspetto che coinvolge l’intera forza lavoro globale: i collaboratori sono infelici e non vogliono tornare in ufficio. Porvi rimedio si può: le soluzioni da adottare sono moltissime e variano secondo la generazione di appartenenza.
Autunno, tempo di back to work e secondo ZDnet, sito internet statunitense di informazione riguardante la tecnologia e l'impresa, il rientro nel proprio ambiente di lavoro è la causa principale dell’infelicità delle persone, tanto che quasi il 70% dei 3.500 lavoratori americani coinvolti in un sondaggio vorrebbe rimanere in smart working. Non solo: la maggioranza dei componenti del campione sarebbe disposta a ridurre lo stipendio pur di evitare il rientro in ufficio, rinunciando fino al 50% del proprio salario attuale.
In occasione della Happiness Week at Work, appuntamento annuale istituito da due imprenditrici olandesi nel 2015 e che quest’anno si celebra dal 20 al 26 settembre, è lecito chiedersi come sia possibile coltivare la felicità dei lavoratori e quali siano le cause dell'insoddisfazione.
Bisogni diversi per generazioni differenti: sarebbe un errore offrire un'unica soluzione per ciascuno di noi. Infatti, ogni generazione necessita di accorgimenti mirati per lavorare serenamente e coltivare la felicità all’interno del proprio luogo di lavoro. Secondo Alessandro Zollo, AD di Great Place to Work Italia, ogni ambiente di lavoro è ricco e vario e per garantire un benessere organizzativo completo, un clima aziendale non soltanto produttivo, ma anche accogliente e apprezzato da tutti occorrono azioni specifiche e funzionali.
Cosa cercano i più adulti: i cosiddetti boomers, secondo le ricerche, vorrebbero un miglior equilibrio fra vita privata e professionale e sarebbero più a loro agio se continuassero a lavorare interamente da remoto. Inoltre, per questa generazione, è fondamentale mantenersi in buona salute e quindi sono molto apprezzati benefit aziendali che si riferiscono al mantenimento e al miglioramento del benessere psico-fisico.
I bisogni della Gen X: i lavoratori che hanno tra i 40 e i 55 anni hanno desideri che sono per lo più riferiti ad un maggiore livello di autonomia, al rispetto dei propri tempi e alla necessità di un corretto equilibrio tra vita professionale e privata. Per la felicità di questi lavoratori, quindi, sarebbe da evitare un eccessivo controllo di ogni singola mansione assegnata e allo stesso tempo fornire opportunità di crescita attraverso corsi di formazione. La cosa più importante? Valorizzare l’esperienza, tenendo sempre in considerazione le abilità e le capacità di ogni professionista.
I millennial desiderano motivazione: secondo quanto emerge dalle ricerche, oggi le aziende espongono i giovani a progetti importanti, sviluppando le loro capacità di leadership e, allo stesso tempo, concedono loro spazio e possibilità di esprimere la loro opinione, indicando cosa funziona e cosa no all’interno dell’ambiente di lavoro in cui si trovano. E ancora, gli appartenenti alla generazione Y, cioè i lavoratori tra i 25 e i 40 anni, sono portatori di positività e gioia in ufficio e capaci di creare o rafforzare i rapporti personali e professionali sul posto di lavoro. Per i millennial, fiducia e trasparenza sono le parole chiave in ambito relazionale così come il tasso di coinvolgimento nelle varie fasi operative dei progetti e delle attività.
I ragazzi della Gen Z: secondo il settimanale d’informazione Time, questa è la generazione degli indecisi: un terzo dei giovanissimi vorrebbe lavorare in smart working, mentre un altro 34% afferma di essere più produttivo e coinvolto quando svolge l'attività in azienda. Per la propria crescita personale e professionale i giovani collaboratori ritengono fondamentali la cultura aziendale, la socializzazione con i colleghi e, allo stesso tempo, anche la presenza di un mentore o di un modello con cui entrare in contatto e da cui trarre ispirazione. In definitiva, si potrebbe dire che la maggior parte dei nati nel nuovo millennio propende per un modello di lavoro ibrido.