Sentirsi protagonisti della propria quotidianità è positivo, ma può trasformarsi in un comportamento disfunzionale
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La sindrome del personaggio principale consiste nel sentirsi protagonisti della narrazione della propria vita. Detto così, non sembrano esserci particolari criticità: se consideriamo la nostra quotidianità come se fosse un film o un romanzo, chi se non noi in prima persona può rivestire il ruolo di personaggio principale? Le cose si fanno più complicate se, invece di immedesimarci in noi stessi così come siamo, siamo spinti a immaginare di essere qualcun altro, magari migliore di noi, più bello, più ricco, più “qualcosa” di come siamo nella realtà. In questo caso, il comportamento diventa disfunzionale e può generare una lunga serie di problemi. Inutile dire che un fattore di ulteriore criticità è rappresentato dal trascorrere molte ore sui social, nei quali è più facile immaginare identità fittizie e costruire storie che con la realtà hanno poco a che fare. Chi è colpito dalla sindrome del personaggio principale, in pratica, indossa una maschera e finisce per nascondersi costantemente dietro ad essa.
CHE COS’È LA SINDROME DEL PERSONAGGIO PRINCIPALE – Chiamata anche sindrome del protagonista, consiste nell’immaginare la propria vita come una storia e identificare se stessi con il personaggio principale della vicenda. Di solito questa è la norma, o almeno dovrebbe esserlo: chi concepisce se stesso in questo modo di solito ha una buona autostima, un atteggiamento positivo nei confronti della vita e sperimenta una maggiore serenità e soddisfazione di chi invece si percepisce come figura secondaria nella storia di qualcun altro e finisce per vivere in funzione di un’altra persona. I rapporti con se stessi e con gli altri si complicano quando ci si considera sempre al centro della scena, come accade ai narcisisti, o addirittura si immagina di essere un personaggio diverso da noi dietro al quale nascondersi per sfuggire alla nostra vera identità e alle nostre insicurezze. È quello che accade, ad esempio, quando ci comportiamo in modo diverso dalla nostra vera natura, seguendo in modo più o meno consapevole le tracce di un personaggio che abbiamo immaginato e che ci ha colpito, che si tratti di un attore, di un cantante o del protagonista di un libro o di un film.
QUANDO È UTILE SENTIRSI PROTAGONISTI – Uno studio ha preso in considerazione un gruppo di studenti universitari ai quali è stato chiesto di valutare le proprie sensazioni immedesimandosi nel ruolo di personaggio principale o secondario di un racconto. Chi immaginava se stesso nel ruolo del protagonista sperimentava livelli considerevolmente maggioro di benessere e di soddisfazione dei propri bisogni psicologici; il benessere si è dimostrato stabile e duraturo anche ripetendo il test a distanza di qualche tempo. In un secondo esperimento gli esperti hanno scoperto che coloro i quali avevano una percezione più elevata di sé nel ruolo principale, perseguivano obiettivi significativamente allineati con i propri valori e mostravano livelli più elevati di auto-motivazione.
QUANDO IL PERSONAGGIO PRINCIPALE È UNA MASCHERA – Sentirsi protagonisti non è la stessa che fingere di esserlo. È quello che accade quando ci si sente insicuri e ci si nasconde dietro una maschera per celare insicurezze e dubbi, per il timore di essere giudicati e per fingere di essere quello che non si è. Questo accade soprattutto sui profili social, dove è molto facile creare un’immagine virtuale di sé, e proseguire interpretando quel ruolo, che si tratti della parte dell’influencer di successo, del manager di punta o del rubacuori irresistibile. Basta qualche foto creata ad arte, una buona capacità narrativa e il gioco è fatto. Purtroppo, può capitare che la smania di fare incetta di like e di numeri sempre maggiori di follower possa prendere la mano e creare un vero e proprio scollamento tra mondo virtuale e orizzonte reale, trasformandosi in una distorsione cognitiva.
QUANDO SCATTA IL CORTOCIRCUITO – Se il principio di realtà è ben saldo nella nostra mente e il personaggio che ci piace interpretare non è altro che un gioco, del quale siamo capaci di liberarci senza difficoltà, non c’è nulla di male. A tutti piace presentarsi al meglio e il gioco dei travestimenti, da condurre ogni tanto, è sempre divertente. Alcune persone, postando la loro esperienza sui social, hanno addirittura riferito di aver sperimentato alcuni effetti positivi nell’immaginare la loro vita come un film a puntate o come una miniserie: ad esempio, un utente di TikTok ha affermato in un video di aver cominciato a considerare gli eventi della propria vita come gli episodi di una serie Tv di cui era protagonista e che questo aveva cambiato la sua prospettiva: “Anche se succede qualcosa di brutto, pensi: ‘Alla fine si tratta solo di una puntata’". Quando però ci immedesimiamo troppo in questo ruolo fittizio, è il caso di uscire al più presto dall’equivoco, prima di perdere il contatto con la realtà. La sindrome del personaggio principale si può superare, a patto di compiere un certo lavoro su se stessi. Il primo passo sta nel riconoscere che il personaggio a cui deleghiamo i nostri schemi di comportamento non corrisponde alla nostra vera natura. Occorre poi accettare il rischio di metterci a nudo e presentarci con schiettezza così come siamo.
COME USCIRE DALLA SINDROME DEL PERSONAGGIO PRINCIPALE – Impariamo ad accettare i giudizi altrui e a sopportarli senza esserne sopraffatti: se si tratta di amici, valutiamo la critica e cerchiamo di coglierne il lato costruttivo; se si tratta di attacchi malevoli, impariamo a non lasciarci ferire: in fondo non si può piacere a tutti.
-Lavoriamo sulla nostra autostima: per essere apprezzati e amati non occorre essere perfetti e non serve trasformarsi in qualcosa che non siamo. Anche i nostri punti deboli hanno dei lati positivi: è giusto lavorare per migliorarsi, ma senza bisogno di fingere di essere diversi da quel che siamo.
-Scegliamo la sincerità – Dire quello che pensiamo, mostrare le nostre debolezze e comportarci di conseguenza è alla lunga più appagante e meno faticoso che continuare a fingere.
-Non pianifichiamo troppo: lasciarsi andare ogni tanto a quello che ci suggerisce l’istituto e pensare fuori dagli schemi, senza programma ogni momento, può essere utile per recuperare spontaneità e autenticità.
- Non smettiamo di sognare: se riusciamo a vedere noi stessi nei panni di un personaggio diverso da noi vuol dire che abbiamo una certa capacità di immaginazione. Non rinneghiamo questa facoltà di sognare a occhi aperti: è quello il momento in cui la mente elabora soluzioni geniali e inattese per i problemi che ci assillano quotidianamente.