"Sono in pericolo", il segno universale per le donne che chiedono aiuto
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La donna racconta segni di torture fisiche e psicologiche. "Mi ha spinto a credermi pazza - racconta a Tgcom24 -, mi ha tolto l'indipendenza economica. Al Pronto soccorso parlava solo lui...". Poi un'amica la porta in un centro anti-violenza e la sua vita cambia.
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Femminicidio è parola che fa impressione già solamente a sentirla prinunciare. Evoca qualcosa di particolarmente orrendo perché, come si legge nei dizionari, il femminicidio è “l’uccisione di una donna o di una ragazza per perpetuarne la subordinazione e annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”. A chi ci rimette la vita si aggiungono le donne che, per fortuna o per forza personale, sono riuscite a sfuggire alla morte. Donne che salvano la vita ma portano le ferite, nel corpo e nell’anima. Torture fisiche e psicologiche sono difficili persino da immaginare.
Una di loro, che chiamiamo Sofia, racconta la sua storia, per testimoniare e soprattutto per mettere in guardia le altre donne e aiutarle a cogliere i segnali di pericolo, le cosiddette red flags nelle quali ci si imbatte sempre, ma che di rado vengono riconosciute.
“Mio marito e io ci siamo conosciuti quando ero molto giovane” racconta Sofia. “Il matrimonio è andato avanti per oltre vent’anni e abbiamo avuto anche due figli, ora ormai grandi. A un certo punto, ho cominciato a capire che qualcosa non andava e a quel punto ho deciso che volevo separarmi. È stato quello il momento in cui si è scatenata la violenza. Ho cercato di farmi coraggio e di andare avanti, per amore dei figli, ma nello stesso tempo ha cominciato a mettere in atto tutte le strategie tipiche del gaslighting, una forma di manipolazione psicologica violenta e subdola che spinge la vittima a dubitare della sua memoria e delle sue percezioni, fino a farle credere di essere pazza.
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Da tempo mio marito cercava di isolarmi dai miei amici e dalle persone che amavo, come per restare l’unico a cui io potessi rivolgermi. Ha cercato di impadronirsi del mio denaro, per lasciarmi senza risorse economiche anche se avevo un lavoro. Ha messo i miei figli contro di me, sono arrivata quasi a credermi pazza. Quando litigavamo, alla fine riusciva sempre a farmi sentire in colpa, come se fossi io la responsabile di quanto accadeva”.
A queste violenze psicologiche si sono aggiunte in più occasioni anche quelle fisiche e, ancora più raccapricciante, opera anche di uno dei due figli: naturalmente quando Sofia è costretta a recarsi al Pronto Soccorso c’è sempre il marito alle sue spalle, a parlare per lei nonostante le sue proteste. Al culmine di uno di questi episodi, Sofia riesce a trovare la forza e l’occasione per fuggire. Un’amica l’accompagna innanzi tutto da uno psichiatra: il desiderio di Sofia in quel momento sarebbe avere una diagnosi medica in grado di dirle che cosa non va nella sua testa e una cura adeguata per rimettersi in sesto e riprendere una vita normale, separandosi consensualmente dal marito e continuare a occuparsi dei figli.
Il medico, naturalmente, non trova in lei nessuna patologia, ma solo le ferite di una donna torturata psicologicamente con violenza e sistematicità inaudita. Le suggerisce quindi di rivolgersi al centro antiviolenza Cerchi d’Acqua (www.cerchid’acqua.org) dove Sofia trova rifugio e sostegno: qui viene aiutata a separarsi dal marito, a ricostruire la propria autostima e a ritornare a una vita normale. E lei riesce brillantemente in questo: si aggrappa al suo lavoro, dal quale dipende la sua autonomia economica, si trova una casa e viene a patti anche con il dolore di essere riuscita a conservare i rapporti solo con il maggiore dei suoi figli mentre il più giovane è schierato apertamente con il padre. Ma non solo: il tarlo più doloroso sta nella consapevolezza che il clima di violenza respirato in casa ha contagiato il ragazzo, il quale potenzialmente potrebbe diventare a sua volta un adulto violento.
L’obiettivo che ha spinto Sofia a raccontare la sua storia è mettere in guardia le altre donne che si trovano a vivere una situazione come la sua: in una storia di amore tossico ci sono sempre dei segnali che tradiscono il reale stato delle cose: “Dobbiamo imparare a riconoscerli appena possibile e non perdere tempo a scappare. Non c’è nessun’altra soluzione. Dobbiamo anche farci aiutare perché non possiamo farcela da sole”
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Il primo segnale a cui prestare attenzione “sono gli atteggiamenti di eccessivo accudimento nei nostri confronti, come se non fossimo capaci di fare da noi. Se lasciamo che lui faccia ogni cosa al posto nostro, presto ci convincerà che non ne siamo capaci”. Il fatto più diabolico, spiega ancora Sofia “è che almeno all’inizio gli saremo molto grate di tutto quello che fa per noi. Finiremo per delegargli sempre più cose, dall’assicurazione della macchina alla gestione del nostro conto corrente”.
L’indipendenza economica è un altro punto cruciale: “Se non siamo indipendenti economicamente non avremo più la possibilità di opporre qualsiasi resistenza e neppure di scappare”. Occhio dunque al conto corrente, alle deleghe e ai prelievi di denaro non concordati. Se poi lui ci spiega che ne avevamo parlato ma non ce ne ricordiamo, il campanello di allarme deve squillare a tutto volume.
Un altro punto cruciale, spiega Sofia, è “non accettare umiliazioni, di nessun tipo: dal ‘sei brutta’, o ‘sei proprio ingrassata’, o ‘non capisci niente, lascia fare a me’: sono un modo per metterci sotto, per uccidere la stima e il rispetto che abbiamo di noi stesse”. E siccome l’unione fa la forza, “non accettiamo di lasciarci separare dai nostri amici e familiari. Un lui violento ci vorrebbe sole, dipendenti da lui e indifese. Sta a noi non permetterglielo”. Alla fine, la soluzione è una sola: “Scappare senza esitazioni, anche lasciandosi alle spalle i figli se non possiamo portarli con noi; ci sarà tempo per tornare indietro, passata la prima emergenza, e riprenderli”. L’aiuto più vicino è quello offerto dai centri violenza: ce ne sono moltissimi sul territorio e in ogni caso c’è sempre il numero nazionale antiviolenza e antistalking, 1522, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
In conclusione, Sofia ha ancora un messaggio: nonostante tutto quello che le è capitato, non ha smesso di credere nell’amore. “Amo l’amore”, dice “e credo che, se si tratta di amore sano, è davvero un valore aggiunto alla vita. Attenzione però: quando si ama qualcuno non si diventa la sua metà, o la sua mezza mela: ognuno rimane pieno e intero. L’amore è semmai un accompagnamento alla vita in cui ciascuno resta sé e continua ad amare se stesso, insieme all’altro”.