Dal 1997 al 2021 sono scomparse 71 delle 162 piattaforme, riversando nell'oceano enormi quantità di acqua dolce
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Negli ultimi 25 anni l'Antartide ha perduto circa 7.500 Gigatoni di ghiaccio, pari a 7.500 miliardi di tonnellate. Dal 1997 al 2021 si sono ridotte di volume 71 delle 162 piattaforme, soprattutto sul lato occidentale, riversando nell'oceano enormi quantità di acqua dolce. Lo ha stabilito uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances e guidato dall'Università britannica di Leeds, che ha analizzato oltre 100mila immagini provenienti dai satelliti dell'Agenzia Spaziale Europea CryoSat-2 e Sentinel-1. Secondo gli autori, il fenomeno potrebbe sconvolgere il sistema di circolazione oceanica, con conseguenze per l'intero globo.
Le piattaforme di ghiaccio attorno all'Antartide sono estensioni della calotta glaciale che copre gran parte del continente. Agiscono come enormi blocchi alle estremità dei ghiacciai, rallentando il loro movimento verso l'oceano. Con il loro scioglimento, aumenta anche la perdita di acqua dolce proveniente dai ghiacciai, con il rischio di interrompere le correnti dell'Oceano Antartico. "Ci aspettavamo che la maggior parte delle piattaforme attraversassero cicli di riduzione e ricrescita, invece, vediamo che quasi la metà di esse si sta sciogliendo senza alcun segno di ripresa", ha detto Benjamin Davison, alla guida dello studio.
I dati raccolti mostrano che quasi tutte le piattaforme sul lato occidentale dell'Antartide, dove le acque sono più calde a causa delle correnti, hanno subito una perdita di ghiaccio, mentre la maggior parte di quelle sul lato orientale sono rimaste le stesse o sono aumentate di volume. In totale, nel corso dei 25 anni, 67mila miliardi di tonnellate di ghiaccio sono finite nell'oceano, controbilanciate da 59mila miliardi di tonnellate di ghiaccio guadagnato, con una perdita netta di 7.500 miliardi di tonnellate. "Molte piattaforme si sono deteriorate in maniera estesa: 48 in particolare hanno perso più del 30% della loro massa iniziale in soli 25 anni", ha commentato Anna Hogg, co-autrice della ricerca.