Pandemia, conflitti e cambiamenti climatici: non sono anni facili per il prezzo del cibo, tanto che negli Stati Uniti qualcuno ha parlato di FoodFlation. Scopriamo perché
di Dario Donato© Unsplash
Negli Stati Uniti qualcuno l'ha ribattezzata FoodFlation, ovvero il rincaro generalizzato del prezzo del cibo. Non è una novità, il post pandemia ha causato una reazione a catena su diverse materie prime agricole su cui si è poi innestata la crisi del grano e dei fertilizzanti attribuibile al conflitto russo-ucraino.
Se i prezzi più alti si sono visti per i casi citati soprattutto nel caso della pasta, potremmo dire che ora ci stiamo spostando verso il dolce. Da inizio anno sui mercati finanziari tiene banco il rialzo dei prezzi del cacao (+65% circa) e lo zucchero, intorno al +40%.
Anche i prezzi del succo d'arancia sono aumentati nell'ultimo periodo a causa delle interruzioni dell'offerta dovute all'inverdimento degli agrumi, una malattia delle colture, in Florida e Brasile, tra i maggiori esportatori di succhi al mondo. Con il secondo che copre da solo il 75% del commercio mondiale. In questo caso nelle ultime settimane alla Borsa di New York sono stati toccati i massimi dal 1996 cioè da quando i contratti futures su questo prodotto hanno iniziato a essere negoziati. Con questi valori il consumo è sceso al livello più basso degli ultimi cinque anni.
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Ma anche lo scorso Halloween è stato tra i più costosi di sempre per chi ha deciso di regalare ai bambini dolcetti di cioccolato. I futures su questa materia prima agricola hanno toccato nelle ultime settimane i massimi da 45 anni a questa parte a quota 3.880 dollari a tonnellata, in aumento di circa 2/3 rispetto a un anno fa. È il prezzo più alto da quando il maltempo nell’Africa occidentale ha rovinato i raccolti a metà degli anni ’70 e ha fatto impennare i prezzi. Come allora, il clima inclemente in Ghana e Costa d’Avorio unito alla malattia dei baccelli neri è all’origine della fiammata rialzista.
Senza dimenticare il prezzo dello zucchero che sempre a New York ha recentemente toccato i massimi dal 2011 a oggi sulla scia di una preoccupazione generalizzata che fenomeni climatici possano alterare i raccolti in India e Thailandia, come già accaduto pesantemente l'anno scorso.
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A chiudere, quello dell'olio d'oliva è aumentato di oltre il 100% quest'anno a causa delle crescenti preoccupazioni per la siccità, già presente, nei principali paesi europei produttori. Il prezzo medio di agosto è stato superiore del 130% rispetto all'anno precedente, superando rapidamente il precedente record di 6.242 dollari/tonnellata stabilito nel 1996 senza alcun segno di rallentamento. Sebbene i prezzi alti abbiano in qualche modo moderato il consumo, stile di vita e preferenze culturali per l'olio d'oliva ne rendono difficile la sostituzione e non facilitano l’abbassamento dei rincari.
Insomma i fenomeni climatici hanno un impatto diretto sui prezzi alimentari, ce ne siamo accorti e l’aspettativa che questi possano diventare sempre più severi non fa altro che spingerne al rialzo i valori cosiddetti “futures” sui contratti in Borsa.
E cosi il dolce, ultimamente, è diventato più amaro che mai.