Sintentica, artificiale, cellulare: la disputa parte già da nome. Insieme a Sara Del Dot proviamo a fare un po’ di luce sul tema della carne creata in laboratorio
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Non allevata ma… coltivata. Hamburger, salsicce, straccetti di suino, bovino e anche pesce, prodotti senza uccidere animali, grazie al trattamento delle loro cellule in laboratorio.
Se fino a qualche decennio fa sembrava fantascienza, oggi in alcuni Paesi è già realtà, mentre per altri rappresenta un nemico da sconfiggere.
Chi se ne occupa la chiama “coltivata” o “cellulare”, chi la combatte “sintetica” o “artificiale”. Nei fatti si tratta di un nuovo modo di produrre carne. Con la differenza che la materia prima non è il corpo intero di un animale ma le sue cellule staminali, prelevate dal sangue o con una piccola biopsia, e lasciate crescere all’interno di un bio-reattore, un contenitore che simula le condizioni biologiche del corpo vivo.
Qui, proprio come in natura, le cellule crescono e si moltiplicano, differenziandosi in muscolo, grasso o altri tessuti. Con tempi molto più brevi rispetto al ciclo vitale di un animale.
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Nasce così quella che per molti è la carne del futuro, descritta come cruelty free e a basso impatto ambientale. Una novità ancora sperimentale, vista come possibile soluzione per chi non vuole rinunciare al sapore di bistecche e affettati, ma opterebbe volentieri per un’alternativa.
Alcuni Paesi si sono già portati avanti. A Singapore dal 2020 è possibile acquistare e mangiare carne prodotta in laboratorio. Anche in Israele si può provare il pollo coltivato, nel ristorante “The Kitchen” e dopo aver firmato una liberatoria. Ok da giugno anche negli Stati Uniti, per la produzione e commercializzazione sempre di pollo in vitro grazie a due società californiane.
Ben diversa è la posizione dell’Italia, primo paese a vietare per legge la produzione e la vendita di alimenti o mangimi prodotti da colture cellulari. Una mossa che potrebbe scontrarsi con future scelte dell’Unione europea in merito, e che di scontro ne ha già visto uno, proprio fuori da Palazzo Chigi, tra il presidente di Coldiretti e gli esponenti di + Europa.
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Ma quali sono i pro e i contro di queste produzioni? Quale l'impatto sull’ambiente e sulla salute? Può davvero essere un’alternativa? Lo abbiamo chiesto ai ricercatori di Bruno Cell, prima start up italiana a occuparsi di ricerca e sviluppo di carne coltivata e ad Antonio Limone, direttore generale dell'istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno e membro del comitato scientifico di fondazione Aletheia, supportata da Coldiretti.
- Stefano Lattanzi, Fondatore e CEO di Bruno Cell: “Si potrà avere un prodotto del tutto simile alla carne tradizionale ma senza il sacrificio resosi necessario da parte di un animale”.
- Antonio Limone, direttore generale dell'istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno e membro del comitato scientifico di fondazione Aletheia: “Metteremo in discussione un nostro sistema produttivo? Che accadrà dei nostri miglioramenti genetici? Il gusto di una carne che abbiamo selezionato per secoli”.
- Stefano Lattanzi: “C’è un vantaggio di tipo ambientale. Con la carne coltivata si consumerà molto meno suolo, si consumerà molta meno acqua, si ridurrà anche la quantità di gas serra”.
- Antonio Limone: “Mentre per gli allevamenti abbiamo tutte le notizie che occorrono, come si fa invece a garantire una riproduzione cellullare così intensa se non si utilizzano altre sostanze”.
- Stefano Lattanzi: “Non si utilizzeranno antibiotici, perché l’ambiente in cui [la carne coltivata] cresce sarà necessariamente asettico. In questo modo si aiuterà anche la sanità pubblica”.
- Antonio Limone: “Bisogna prima iniziare a bilanciare ciò che non va, prima di immaginare che i riflessi di una carne sintetica sul nostro sistema produttivo possano dare solo benefici”.
- Stefano Lattanzi: “La carne tradizionale continuerà ad essere necessaria e utile ancora per molto tempo. La carne coltivata può essere semmai un’alternativa interessante”.