Gennaio troppo caldo: la mancanza di neve mette in ginocchio lo sci europeo
© Getty
© Getty
Lo studio di ricercatori dell'Università di Padova e dell'Istituto di Scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna pubblicato su "Nature Climate Change"
© Ansa
Il candido manto delle Alpi è sempre più scarso: nell'ultimo secolo la persistenza della neve si è ridotta di oltre un mese, arrivando a segnare il record negativo dai tempi di Cristoforo Colombo e Leonardo da Vinci. Lo rivelano gli anelli di accrescimento delle piante di ginepro comune cresciute in quota, analizzate per uno studio senza precedenti dai ricercatori dell'Università di Padova e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr). I risultati, pubblicati su Nature Climate Change, fanno toccare con mano le allarmanti conseguenze del riscaldamento globale, che secondo la Nasa e l'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha reso gli anni di quest'ultimo decennio (compreso il 2022) tra i più caldi mai registrati.
"Per la prima volta siamo riusciti a ricostruire la durata del manto nevoso su quasi tutto l'arco alpino italiano degli ultimi 600 anni", ha spiegato il primo autore dello studio, Marco Carrer, ecologo forestale dell'Università di Padova. "Ne emerge che tra un anno e l'altro ci sono fluttuazioni importanti, ed è normale che sia così, ci sono dei periodi un po' più lunghi che si discostano dalla media ma il dato molto evidente è che tra il 1400 e il 1900 siamo stati su livelli più o meno stabili ora invece, da diversi decenni si assiste a una costante discesa".
Un calo ben visibile dai grafici e che può essere riassunto numericamente in meno 36 giorni di copertura nevosa (nelle quote tra 2.000 e 2.500 metri) e una riduzione del 5,6% negli ultimi 50 anni. Un declino senza precedenti che si ripercuote non solo sugli ecosistemi montani, ma anche su tutte le attività umane che dipendono dai bacini idrologici a valle: la secca del Po ne è stato un esempio.
© Getty
© Getty
Ma, nonostante la tipica variabilità che conosciamo bene tra un inverno e il successivo, quello che stiamo sperimentando negli ultimi decenni è, dunque, qualcosa che non si era mai riscontrato da prima della scoperta delle Americhe. In pratica, nell'ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese, come emerge dall'articolo Recent waning snowpack in the Alps is unprecedented in the last six centuries appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Climate Change, frutto della collaborazione di un team di ricercatori dell`Universita' di Padova e dell`Istituto di scienze dell`atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna coordinato dal professor Marco Carrer del Dipartimento Territorio e Sistemi AgroForestali di Padova.
"Abbiamo scoperto che un arbusto estremamente diffuso, il ginepro comune, quando si trova in alta quota ha un portamento strisciante sul terreno, ovvero cresce orizzontalmente molto vicino al suolo, ed è in grado di registrare nei suoi anelli di accrescimento la durata della copertura nevosa - aggiunge Carrer -. Infatti, essendo alto poche decine di centimetri, la sua stagione di crescita dipende fortemente da quanto precocemente riesce ad emergere dalla coltre bianca che lo ricopre".
"Per lo studio dei cambiamenti climatici è necessario disporre di un'ampia prospettiva temporale. Purtroppo le informazioni riguardanti il manto nevoso vengono generalmente raccolte solamente da pochi decenni - gli fa eco Michele Brunetti dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima Isac del Cnr. - Da qui la necessità di guardare oltre l'orizzonte fornito dai dati strumentali e trovare altre fonti che ci permettano di estendere a ritroso nel tempo le informazioni climatiche necessarie".
"Incrociando così le misure degli anelli di accrescimento del ginepro, che può raggiungere età considerevoli (oltre 400 anni), con un modello di permanenza del manto nevoso elaborato ad hoc, siamo riusciti a ricostruire le condizioni di innevamento negli ultimi sei secoli. Ciò ci ha permesso di comprendere che quello che stiamo vivendo negli ultimi anni è qualcosa che non si era mai presentato precedentemente", continuano i due ricercatori.
E' "come se le Alpi si fossero abbassate di quasi 300 metri", aggiunge Brunetti. "A 2.000 metri la durata della neve oggi è come quella che si registrava qualche decennio fa a 1.700 metri". Tenendo conto dei possibili scenari futuri, conclude l'esperto, "è possibile immaginare un'ulteriore riduzione tra 26 e 76 giorni da qui a fine secolo".
E' la prima volta che si riescono a ottenere informazioni su un così lungo orizzonte temporale per questa variabile meteorologica estremamente importante. La neve ha infatti un ruolo chiave nel bilancio energetico terrestre, ma è anche fondamentale per i sistemi naturali, sociali ed economici della regione alpina che si sostengono grazie alla sua disponibilità. Dovremmo, infatti, acquisire maggiore consapevolezza delle nuove sfide dettate dai mutamenti in atto e futuri per una regione i cui equilibri si sono mostrati fortemente sensibili ai cambiamenti climatici.
Del resto "la tendenza al riscaldamento globale è allarmante", come ha sottolineato il numero uno della Nasa, Bill Nelson, presentando il rapporto dell'ente spaziale americano che definisce il 2022 come il quinto più caldo mai registrato al pari del 2015, con temperature globali di 0,89 gradi sopra la media per il periodo di riferimento dei dati della Nasa (1951-1980).