ECONOMIA DI GUERRA

Grano: l’oro di Russia e Ucraina

L’impatto della guerra sul mercato del grano a livello europeo

di Dario Donato
24 Mar 2022 - 15:54
 © Pexels

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In un mondo interconnesso dai nervi della globalizzazione le sanzioni elevate dell’Occidente nei confronti di Mosca generano effetti di ritorno che lasciano i primi segni. Oltre il gas e la crisi energetica c’è di più, un grosso tema alimentare. Russia e Ucraina, separate dai carri armati, unite nei granai: insieme producono ogni anno circa il 25% del grano mondiale e sono enormi produttori anche di mais, orzo e altri cereali. Entrambe hanno limitato le esportazioni per scongiurare crisi umanitarie interne in tempo di guerra o nel caso della Russia, come contro risposta politica, ma tra inflazione e mancato export i danni si propagano in tutto il mondo tra carenza e prezzi impazziti.

Per l’Italia l’export russo-ucraino pesa per il 6% sul grano tenero e il 15% sul mais, ma gli innervamenti globali generano le scariche più forti sui paesi deboli. Secondo l’ONU 45 paesi africani importano almeno un terzo del loro grano dall’Ucraina e dalla Russia e 18 di questi ne importano almeno il 50%. Questi paesi includono Egitto, Congo, Burkina Faso, Libano, Libia, Somalia e Sudan. In particolare il Cairo con i suoi 102 milioni di abitanti è il più grande importatore al mondo e dipende dai due paesi in conflitto per l’85% dei suoi consumi. Per questi paesi, già piegati da pandemia e crisi economica, un singhiozzo nell’import e una fiammata nei prezzi di pane e farine potrebbe tradursi in rivolte sociali già viste un decennio fa ai tempi delle primavere arabe.

Tornando ai confini nazionali, secondo gli ultimi dati Coldiretti il nostro paese si nutre per il 64% di grano estero anche se i fornitori sono differenziati. Quello tenero è il più importato ed espone al rialzo dei prezzi per pane e pasticceria. Più presente nei nostri campi quello duro che dovrebbe contenere i rialzi, però già evidenti, sul prezzo della pasta. La crescita dei prezzi del grano più contenuta si era già registrata prima dello scoppio del conflitto a causa dell’inflazione causata dal recupero economico post pandemico unito a un raccolto povero in altri grandi paesi produttori come Stati Uniti, Canada e Argentina. I carri armati, la grande fuga e la distruzione di queste settimane potrebbero bloccare la semina in Ucraina, con effetti nefasti dilatati nel tempo, ma soprattutto nello spazio di una globalizzazione che per anni ha accorciato le distanze mentre oggi tende a isolare chi non è in grado di badare a se stesso.

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