Con Sara Del Dot ci immergiamo nel dibattito sulla Plastic Tax, che in Italia è in sospeso da tre anni e che proprio non riesce a mettere d’accordo ambientalisti e industriali
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Per strada, in mare, nell’aria che respiriamo, sui ghiacciai alpini, addirittura nelle nuvole e nel corpo umano. La plastica è ovunque. Versatile, leggera, igienica, ma soprattutto economica. Basta entrare in un supermercato. Tutto è avvolto, protetto, pronto per essere consumato. Ma cosa succede dopo?
Secondo i dati OCSE ogni anno nel mondo si producono circa 430 milioni di tonnellate di plastica, metà delle quali progettate per un solo utilizzo. A essere effettivamente riciclato sarebbe appena il 9%. L’enorme produzione di materiale e il ritmo troppo lento con cui viene avviato a nuova vita tramite processi di recupero e riciclo, oltre alla sua inevitabile dispersione nell’ambiente, provocano un danno immenso.
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Le associazioni lanciano l’allarme. Riciclare non basta più. Bisogna smettere di produrre materiale vergine. A risponderne sono state chiamati in causa governi e istituzioni europee.
E mentre le Nazioni Unite sono alle prese con un Trattato globale sull’inquinamento da plastica, in Italia da più di tre anni si discute della Plastic Tax, uno degli strumenti con cui il Paese dovrebbe recepire la più ampia direttiva Europea chiamata SUP, Single Use Plastic, sulla plastica monouso appunto.
La Plastic Tax non è che una tassa sul consumo dei cosiddetti MACSI, manufatti in plastica con singolo impiego usati per l’imballaggio di merci e alimenti. Introdotta per la prima volta nella legge di bilancio del 2020, dopo ben sei rinvii non è ancora entrata in vigore.
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Attualmente il documento imporrebbe un’imposta di 45 centesimi per ogni kg di plastica vergine immessa sul mercato e, se approvata, dovrebbe servire a incentivare l’impiego di materiale riciclato, che è escluso dalla tassazione così come quello compostabile.
La Plastic Tax non mette tutti d’accordo. Per le realtà ambientaliste non ci sono più scuse. Di tutt’altra opinione sono i produttori e gli industriali che ne chiedono la cancellazione definitiva.
Abbiamo lasciato la parola proprio ai protagonisti del dibattito:
- Giuseppe Ungherese, Responsabile campagna inquinamento di Greenpeace: “Greenpeace ritiene che l’introduzione di questa norma non sia più rinviabile. Anche perché parliamo sempre di economia circolare, ma poi non vediamo mai misure in atto che possano favorirla. La Plastic Tax andava proprio in questa direzione”.
- Giangiacomo Perini, Presidente di Associazione italiana bevande analcoliche: “Come aziende siamo proprio contrarissimi alla Plastic Tax, perché è una legge totalmente inutile. Si colpisce un materiale che ha tutta una serie di benefici, tra i quali le ridotte emissioni di CO2 in fase di produzione. Invece la soluzione giusta sarebbe quella di incentivare e sviluppare una reale economia circolare, lavorando quindi sulla raccolta, sul riciclo, sulla sensibilizzazione al consumatore”.
- Giuseppe Ungherese: “Questa tassa doveva diventare un vero e proprio volano per il riciclo. Infatti va a toccare solo le plastiche che non sono prodotte con materiale riciclato. Abbiamo numerosi esempi virtuosi. Come la Spagna e l’Inghilterra, dove l’introduzione di una tassa ha permesso di far nascere e di far sviluppare molto di più il ricorso alle plastiche riciclate e quindi alla nascita di una vera economia circolare”.
- Giangiacomo Perini: “Le aziende hanno lavorato per introdurre nei nostri formati una plastica riciclata, il cosiddetto RPET, che è escluso dall’applicazione della norma. Il vero problema però è trovare la plastica riciclata sul mercato”.
- Giuseppe Ungherese: “Mentre noi parliamo fino a 12 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei mari del Pianeta, incluso il nostro Mediterraneo".