Uno studio internazionale guidato da Milano-Bicocca, pubblicato su Nature, ha messo in luce che, in alcuni casi, le concentrazioni di plastiche e microplastiche negli ambienti d’acqua dolce sono maggiori di quelle riscontrate nelle aree oceaniche.
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Montagne di detriti che galleggiano in superficie. Residui di imballaggi che si depositano sui fondali di tutto il mondo, alterando ecosistemi che dovrebbero essere preservati. L’invasione di plastiche e microplastiche del nostro Pianeta è iniziata ormai da tempo. E l’uomo non riesce proprio sbarazzarsi di questi materiali che invece continuano ad aumentare.
Nonostante gli allarmi globali e l'intervento delle istituzioni, la produzione annuale di polimeri si aggira sui 450 miliardi di chili. E secondo alcune stime potrebbe addirittura aumentare negli anni a venire. In quali acque finiscono i residui che sfuggono al processo di riciclo? Gli studi scientifici hanno rilevato massicce concentrazioni soprattutto in mari e oceani. Ma il materiale incriminato, non si trova solo nelle acque salate. Non risparmia nemmeno i grandi bacini di acqua dolce. Un recente studio guidato da una giovane ricercatrice dell’Università di Milano-Bicocca e pubblicato sulla rivista Nature, ha rilevato una contaminazione rilevante proprio nei laghi. Secondo la ricerca che si è servita dei campioni di 38 bacini in 6 contenenti, alcuni ambienti di acqua dolce hanno una concentrazione addirittura maggiore delle isole di plastica oceaniche.
"La plastica che si accumula sulla superficie dei sistemi acquatici può favorire il rilascio di metano e altri gas serra. Le materie plastiche possono arrivare oltre l'idrosfera e interagire con l'atmosfera, la biosfera e la litosfera, influenzando potenzialmente i cicli biogeochimici, ossia la circolazione tra i vari comparti della terra degli elementi chimici che passano dalla materia vivente a quella inorganica grazie a trasformazioni e reazioni chimiche, attraverso meccanismi che devono essere ancora compresi e che richiedono una valutazione olistica dell'inquinamento da plastica nei sistemi lentici” spiega Veronica Nava, Assegnista di Ricerca dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.
La ricerca ci dà un’altra informazione da non sottovalutare. Tra le acque più inquinate, troviamo quelle del Lago Maggiore e del lago di Lugano, che interessano anche il territorio italiano. Qui, tra l’altro, si trovano fonti d’acqua potabile rilevanti e a rischio contaminazione.
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"Data la concentrazione relativamente alta di microplastiche nei laghi e nei bacini idrici di grandi dimensioni, questi ambienti possono essere considerati "sentinelle dell'inquinamento" in quanto agiscono come collettori e integratori di diverse fonti di plastica provenienti dai bacini idrici e dall'atmosfera. Inoltre questi ambienti possono trattenere, modificare e trasportare i detriti plastici attraverso i bacini idrici fino agli oceani. Questi risultati dimostrano la portata globale dell'inquinamento da plastica: nessuno lago, neppure quelli più lontani dall’attività antropiche, può essere considerato realmente incontaminato: questo deve spingerci a rivedere le strategie di riduzione dell’inquinamento e i processi di gestione dei rifiuti" conclude Barbara Leoni, Docente di Ecologia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Secondo lo studio nessun lago, nemmeno il più remoto può dirsi incontaminato. Un ulteriore segnale che diventa un imperativo categorico: bisogna rivedere al più presto le strategie di riduzione dell’inquinamento e i processi di gestione dei rifiuti.