COP16.2 DI ROMA

Una strada per la biodiversità

Dopo essersi interrotta a Cali in Colombia lo scorso novembre, la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sulla biodiversità, si è riaperta a Roma dal 25 al 27 febbraio. Un tempo supplementare necessario per affrontare questioni fondamentali come quella delle risorse economiche e della loro mobilitazione 

di Sara Del Dot
28 Feb 2025 - 16:41
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È finita così, dopo tre giorni, tra gli applausi quasi fuori tempo massimo, la seconda parte della COP16, la conferenza delle parti delle nazioni unite sulla biodiversità, ripresa a Roma dal 25 al 27 febbraio dopo essersi interrotta a Cali in Colombia lo scorso novembre. L'hanno chiamata COP16bis, un tempo supplementare necessario perché in quella prima parte in Sudamerica erano rimaste in sospeso questioni fondamentali come quella delle risorse economiche e della loro mobilitazione.

In questi tre giorni i delegati di oltre 150 Paesi del mondo si sono susseguiti nella discussione, guidata dalla presidente, la colombiana Susana Muhamad

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L’obiettivo era trovare un accordo per implementare il Global Biodiversity Framework di Kunming Montreal, il GBF, uno strumento adottato alla COP15 del 2022 per interrompere e invertire il declino della biodiversità mondiale, da cui dipende il 50% del PIL dell’intero pianeta. 

Questo framework prevede 4 grandi obiettivi e 23 target: fondamentale la protezione del 30% delle terre e dei mari, l’investimento di 200 miliardi di dollari l’anno e la riduzione di investimenti dannosi per un totale di 500 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. 

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Quello degli strumenti finanziari e di come trovare le risorse era il punto cruciale dei negoziati. Sul tavolo c’era la possibilità di creare un nuovo fondo esclusivamente dedicato alla biodiversità e gestito dall’organismo COP, oppure mantenere e implementare gli strumenti attuali come il GEF, Global Environment Facility gestito dalla Banca mondiale, e il nuovo Fondo CALI lanciato proprio in questi giorni, per permettere alle aziende che sfruttano le informazioni genetiche delle risorse naturali di restituire parte dei loro profitti alle comunità indigene e locali che se ne prendono cura.

I Paesi più fragili, ricordiamolo, sono anche quelli che custodiscono la percentuale più alta di biodiversità nel mondo e appunto per questo, chiedono maggiori investimenti e tutele per il bene di tutti. Le nazioni più sviluppate dovrebbero supportarli di almeno venti miliardi di dollari l’anno entro il 2025 e trenta miliardi entro il 2030.

Come ci ha spiegato Laura Caicedo, Campaign Coordinator Greenpeace Colombia"L’anno scorso abbiamo ottenuto risultati importanti, storici come il Fondo di Cali, il corpo sussidiario delle popolazioni indigene, ma alla fine ciò di cui abbiamo bisogno per implementare le cose è il denaro. Noi speriamo davvero di ottenere in fondi perché i paesi del sud del mondo sono ricchi di biodiversità. Abbiamo la responsabilità di custodire gli ecosistemi ma i paesi nel nord dimenticano che questa non è beneficenza. Ogni dollaro che investono in un fondo dedicato alla conservazione, lo investono nei loro cittadini".

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L’accordo è stato raggiunto dopo tre giorni intensi di diplomazia tra l’emozione della presidente e applausi di sollievo in tutta la plenaria. Il risultato più grande, hanno detto, è l’essere d’accordo su come procedere, per trovare più risorse possibili da dedicare alla biodiversità e mobilitarle, avere una road map, una strategia condivisa per poter avviare quanto necessario a raggiungere gli obiettivi del framework entro il 2030, colmando il gap finanziario tra paesi. Nei prossimi 5 anni, quindi, dovranno essere fatti dei concreti passi avanti, monitorati progressivamente. Per quanto riguarda le fonti di denaro, c’è la possibilità di creare nuovi strumenti ma si esclude l’idea di eliminare quelli già esistenti. Inoltre è prevista l’attivazione di un dialogo costante tra i ministeri delle finanze e quelli dell’ambiente, costruendo per la prima volta un alto livello di comunicazione riguardo la finanza ambientale.

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E tra le parole degli esseri umani che decidevano per la natura, durante la plenaria era presente anche lei. Una piantina, donata dai giovani delegati che con le loro parole hanno poi chiuso la COP, per portare nei negoziati la voce della natura. Perché se silenziamo quella, niente ha più senso. Come ci ha ricordato Cristina Cipriano, del Global Youth Biodiversity Network: "Pur rimanendo noi in silenzio volevamo far parlare la biodiversità. Noi siamo qui, siamo presenti. Sappiamo che le decisioni che vengono prese in queste aule sono decisioni che ricadranno su noi giovani soprattutto e le ripercussioni maggiori siamo noi a viverle. Ogni piccolo passo verso la direzione giusta conta".

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