Secondo un recente studio della Camera di Commercio di Milano il Made in Italy agroalimentare all'estero vale oltre 38 miliardi di euro
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In occasione del Milano Food City – evento all’insegna dell’alimentazione sana e di qualità che si terrà nel capoluogo lombardo dal 4 all’11 maggio – la Camera di Commercio di Milano ha realizzato un’indagine sull’andamento dell’agroalimentare italiano, soffermandosi sui risultati ottenuti dal Made in Italy nel mondo.
Secondo lo studio le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani nel mondo valgono 38 miliardi di euro, un valore in crescita del 3,5% tra il 2015 ed il 2016. Al primo posto tra i mercati di destinazione troviamo la Germania con una quota pari al 17,6% del valore totale dell’export agroalimentare italiano, seguita da Francia, con il 10,9%, e Stati Uniti, con il 10,1%. Già dal quarto posto, dove si trova il Regno Unito (8,5%), si scende a quote inferiori al 10%, mentre si scende addirittura al 3,9% del quinto posto della Svizzera.
Nell’anno considerato il Paese, tra quelli che compaiono nella top-20, verso cui le esportazioni agroalimentari italiane sono cresciute di più è la Romania (18esimo mercato di destinazione), con un aumento del 16,1%, seguita da Repubblica Ceca (17esimo) verso cui si registra invece un +13%. Unici cali hanno invece interessato due Paesi dell’estremo oriente: Cina e Giappone che pur figurando nella top-20 (al 20esimo e al decimo posto), registrano contrazioni rispettivamente del 10,5% e dell’1,9%.
Guardando da più vicino, la CIA (Confederazione italiana agricoltori) – basandosi su dati Istat – spiega che le esportazioni legate ad agricoltura, silvicoltura e pesca sono aumentate nel 2016 del 3%, mentre quelle legate esclusivamente al settore alimentare hanno registrato un +4%, rappresentando, per dirla con le parole della Confederazione “la terza ‘potenza’ manifatturiera del Made in Italy, preceduta soltanto dai prodotti farmaceutici, le cui vendite estere sono aumentate del 6,8%, e dai mezzi di trasporto (+5,4%)”.
Ma se l’agroalimentare va bene all’estero, altrettanto non si può dire per il mercato nazionale. Mentre nel 2015 – spiegano Unioncamere e Ismea nell’indagine AgrOsserva – si è registrata una timida ripresa dei consumi domestici, nel 2016 la spesa delle famiglie per i beni alimentari è diminuita dello 0,5%.