Ma perchè l'interdizione arriva ora?
di Oscar Giannino
da "Libero"
Da anni chi qui scrive ritiene che Capitalia abbia svolto nel sistema bancario italiano un ruolo del tutto improprio. Come Ercole nelle stalle di Augia, l'istituto è cresciuto - anzi è stato fatto crescere - per rimediare di volta in volta a sofferenze e incagli patrimoniali ricorrenti e rilevanti. Ma questo giudizio non può far velo al liberale, quando si tratta dell'ennesimo banchiere colpito da un provvedimento cautelare della giustizia penale.
Nemmeno quando il banchiere si chiama Cesare Geronzi - interdetto per due mesi dalle sue cariche sociali dal gip di Parma - si può e si deve fare eccezione al dovere del garantismo. Perché diciamocela tutta: le indagini sul crac Parmalat - con tutti i suoi annessi e connessi, dalle acque minerali Ciappazzi al Parma calcio al settore turistico di Parmatour - sono aperte da anni. E parlare oggi di possibilità di distruzione delle prove o di reiterazione del reato fa semplicemente ridere, con tutto quel che Geronzi ha potuto fare negli anni.
Di conseguenza, prima ancora di dare un giudizio su Geronzi e sulle conseguenze che il provvedimento del giudice avrà sul risiko bancario italiano, occorre porsi una domanda. Perché proprio ora? La misura era stata già più volte richiesta in passato dai pm parmensi. E accantonata, dal capo della procura e dal gip. Ora siamo a un mese dalla conclusione dell'indagine. E viene accolta. Perché i pm hanno raccolto tante prove da cercare sostegni all'ormai per loro certa richiesta di rinvio a giudizio. E anche per lanciare un grido di dolore: la procura di Parma è stata praticamente in questi anni smantellata, il Csm non ha risposto alle richieste di applicazioni di rinforzi, l'intero organico è pari a un terzo della squadra "finanziaria" di pm milanesi agli ordini di Francesco Greco. Ed è evidente che di questo passo gran parte dei reati collegati al crac Parmalat finiranno prescritti.
Tanto vale allora sparare al bersaglio grosso. E chi c'è di più grosso e ingombrante di Cesare Geronzi, il "banchiere di potere" per definizione in Italia? I pm ipotizzano che Geronzi abbia "costretto" Calisto Tanzi a comprare la società di acque minerali Ciappazzi da Giuseppe Ciarrapico a un prezzo esorbitante. Un affare simile sarebbe stato concluso anche sulla vicenda Eurolat, ceduta da Cirio a Parmalat, sotto la regia dello stesso Geronzi. Per il gip "i più autorevoli esponenti della banca capitolina erano perfettamente consapevoli, e da lungo tempo, tanto delle problematiche che affliggevano le società personali di Tanzi (tra cui Parmatour), quanto delle gravi condotte illecite dell'imprenditore parmigiano", cooptato peraltro nel consiglio dell'istituto bancario.
È l'accusa che scriviamo e conosciamo da anni. Del tutto analoga a quella rivolta a Geronzi e alla sua Banca di Roma per aver prima creato pressoché dal nulla e fatto crescere spericolatamente, poi abbandonato al crac il gruppo Cirio di Cagnotti, dopo averlo obbligato a rientrare dalle relative esposizioni. Rifilate in forma di bond-fregatura - in buona compagnia di mezzo sistema bancario italiano - ai propri correntisti. Altri reati per i quali pende una riehiesta di rinvio a giudizio, per truffa e bancarotta fraudolenta.
Ma dopo anni che se ne scrive e se ne indaga, che cosa giustifica questo improvviso colpo di pistola giudiziario? In un Paese normale, in primis i soci di Capitalia avrebbero dovuto esprimere un giudizio netto sul loro presidente. Invece, ancora ieri si sono stretti come un solo uomo intorno a lui, ribadendogli stima e solidarietà. Il patto di sindacato e il suo presidente Vittorio Ripa di Meana hanno ripetuto che Geronzi è sopra ogni sospetto. Un patto di sindacato in cui siedono capistalisti di prim'ordine, i Ligresti, i Tronchetti Provera, i Berlusconi. Tutti soggetti che devono molto a Geronzi e ai generosi affidamenti della sua banca. L'avvocato, il senatore diessino Guido Calvi, ha detto che tra due mesi al massimo il temerario provvedimento di interdizione rientrerà e l'onore di Geronzi resterà intatto.
In Borsa, ieri, il titolo Capitalia è salito del 2,5%. Ma questa non è stima per Geronzi, semmai è attesa che Capitalia venga acquisita da qualche scalatore. Cosa che paradossalmente non avverrà. Perché l'effetto dell'interdizione è di mettere in freezer qualunque dossier immediato di fusione con Capitalia, tipo quelli che Intesa aveva fatto aprire anche ai propri soci parigini del Crédit Agricole. Perché i casi sono due. Se il Tribunale del riesame confermerà l'interdizione, allora il mercato e qualche potenziale scalatore capirà che davvero si mette male per Geronzi, e solo allora accelererà. Ma se il Tribunale annulla il provvedimento - e più volte Geronzi è riemerso miracolosamente dalle accuse giudiziarie, ricordate il caso Federconsorzi - allora il presidente di Capitalia tornerà in sella più forte che mai.
Resta un paradosso tutto italiano. Geronzi è il grande e indiscusso vincitore di oltre vent'anni di consolidamento bancario italiano. Per Fazio è stato per 11 anni su 13 un vero e proprio "fratello maggiore" prima che amico bronzeo, stante i vent'anni passati insieme in Bankitalia, laddove Geronzi, il figlio di un tranviere di Marino, riuscì a dirigere la sala cambi di via Nazionale. E Beniamino Andreatta ironizzava affermando che era proprio lui a importare in quella veste l'inflazione in Italia. Dalla Cassa di risparmio di Roma al primo grande polo romano sotto Andreotti, al secondo balzo in avanti eludendo la stretta postagli da Craxi, sconfiggendo le diverse formule di privatizzazioni che tentarono Prodi e Amato, Geronzi ha sempre avuto da Bankitalia quanto ha voluto, in cambio del fatto che il suo istituto svolgeva per conto del governatore la funzione di grande "ripulitore" del mondo bancario italiano, ma ottenendo anche in cambio il sistematico consenso a nuove acquisizioni, nei cui asset patrimoniali affogare di volta in volta sofferenze romane e free capital negativi. E' alla forza aggregante di Geronzi, più che a ogni altra cosa, che si dovette la vittoria delle banche attuali socie di Mediobanea su Cuccia prima, Maranghi poi e Tremonti infine. Fiat e Teleconi gli sono grati, Bernheim e Bolloré di Generali con lui parlano. Gianni Letta, con lui non ha mai interrotto il filo rosso.
Con tutto il gotha del capitalismo italiano intorno, dopo aver ripianato debiti e sostenuto giornali di tutti i partiti italiani, e dopo aver freddamente giustiziato Fazio, che dopo avergli dato Bipop Carire gli preferì Fiorani, per Geronzi cadere per un provvedimento cautelare che al garantista ripugna sarebbe un trionfo immeritato. Lasciatemi sperare che sia il mercato, azionisti "sani", industriali non iperindebitati e partiti politici non salvati dal fallimento, a emettere il giusto giudizio. Della storia, non dei tribunali penali.