A rischio, denunciano le associazioni di categoria, ci sono molti posti di lavoro in un settore che ha fatto i conti con un sensibile calo del fatturato
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Alcune delle 469 aree di servizio sparse sulla nostra rete autostradale sono a rischio chiusura. Un atto di indirizzo, firmato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi e dal ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, prevede la chiusura delle aree di servizio considerate insostenibili, marginali e non profittevoli. Le conseguenze sul fronte occupazionale, denunciano le associazioni di categoria, saranno inevitabilmente negative.
Dopo aver fatto i conti con un periodo difficile, caratterizzato da un calo sensibile degli incassi (tra il 2011 e il 2013, le aree di servizio hanno perso una media di 35% di fatturato e le società di ristorazione in piazzola circa il 15%) i distributori e i gestori delle aree di sosta temono di chiudere i battenti. Un timore diffuso, ma che non riguarda tutti.
Come già anticipato, l'atto di indirizzo prevede la chiusura entro il 2015 delle aree di servizio considerate insostenibili, marginali e non profittevoli. Eccezion fatta, quindi, per l'aree con erogati superiori a 2 milioni di litri annui e fatturati relativi a prodotti principali superiori a 750 mila euro l'anno.
Il ministero dei Trasporti e quello dello Sviluppo economico hanno posto ulteriori paletti: chiudere una area di sosta sarà possibile solo se la distanza dall'area di servizio più vicina non è superiore ai 50 chilometri (attualmente la distanza massima è di 29 chilometri). Mentre i medesimi servizi erogati in diverse aree di sosta potranno essere accorpati purché entro i 100 chilometri di distanza per i rifornimenti di carburante e 150 chilometri per i servizi di ristorazione.
Se attuato, l'atto di indirizzo avrà un impatto negativo e non ancora quantificabile sul fronte occupazionale. Ma che, con molta probabilità, riguarderà una parte dei 6.000 lavoratori attualmente impiegati nel settore.
Oltre a suscitare qualche apprensione, il piano sottoscritto dai ministri Lupi e Guidi non convince le associazioni di categoria. Il motivo? Quest'ultimo non prevede infatti una modifica delle royalties pagate dai distributori e dai gestori di aree di servizio alle società concessionarie, che ottengono in gestione dallo Stato parte della rete autostradale e che, nonostante il calo del traffico, godono di buona salute.
Tra il 2012 e il 2013, il traffico sulle nostre autostrade è diminuito di circa il 10%. Una riduzione che, complici gli aumenti medi tariffari scattati nel corso del 2013 (+2,9%), non ha danneggiato gli introiti complessivi dei pedaggi, cresciuti così come i profitti. Durante il 2013, secondo quanto comunicato dall'Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori (AISCAT), le concessionarie hanno registrato introiti di 4.914 milioni di euro per i pedaggi (+109 milioni su base annua) e registrato utili pari a 1.100 milioni.
Gli aumenti delle tariffe, spiegano le concessionarie, sono necessari per finanziare gli investimenti. Dalla lettura dei dati e delle statistiche emerge una realtà diversa. Nel corso del 2013 gli investimenti sono calati del 30% nel caso di Autostrade per l'Italia (che vale circa il 56% del totale), passata da 1.2 miliardi di euro del 2012 agli 808 milioni del 2013. Anche le altre società, osserva l'AISCAT, hanno subìto in media riduzioni rispetto al 2012 e rispetto ai programmi.