Tra le principali cause del rallentamento la crisi economica e il credit crunch
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Nel 2015, e ancora nel 2016, si assisterà ad una lenta ripresa, ma intanto c'è da fare i conti con quello che resta. E i conti li ha fatti qualche tempo fa il Cerved, ricavandone un quadro poco lusinghiero. Perché le Pmi (piccole e medie imprese) rappresentano oltre il 90% del tessuto economico nazionale. Perdere un tale patrimonio significa rallentare ulteriormente le prospettive di crescita del paese.
A dire il vero il ruolo cruciale delle piccole e medie imprese gode di un riconoscimento valoriale a livello europeo. Le Pmi vengono infatti considerate il motore dell'economia Ue, una fonte di lavoro, oltre che un modello vincente di imprenditorialità e sviluppo, competitività e innovazione. Ma la crisi economica si è rivelata un freno molto più di quanto si potesse temere all'inizio. Si ricordi che le Pmi non superano i 250 effettivi nel caso di imprese di dimensioni medie; 50 se è una piccola impresa (se il numero non supera i 10 effettivi si parla allora di microimprese).
Questi i numeri del Cerved: un quinto del totale delle Pmi italiane è fuori mercato. Dal 2007, infatti, 13 mila aziende sono fallite, cinquemila hanno avuto una procedura concorsuale non fallimentare e 23 mila sono state liquidate volontariamente. Non solo. Quelle sopravvissute all'urto della crisi hanno perso comunque 31 punti di Margine operativo lordo (Mol) e più che dimezzato la redditività (ovvero la differenza tra l'utile netto e il capitale proprio, il ritorno dal capitale investito per dirla altrimenti), passata dal 13,9% al 5,6%.
Eppure c'è un dato positivo da analizzare, al di là dei margini di ripresa previsti per il biennio 2015-2016: la presenza di imprese gazzelle. Quest'ultima tipologia, a fare quasi da contraltare ai casi precedentemente descritti, comprendono le piccole aziende che evidenziano un notevole tasso di crescita (fatturato e/o occupazione) e che, sempre secondo il Cerved, dal 2007 al 2012 hanno visto raddoppiare il fatturato (circa il 3,4% di quelle monitorate, 3.472 unità).
Il maggior numero di Pmi gazzelle risiede in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, ma il tasso di concentrazione premia il Sud (Puglia e Calabria, soprattutto). Sono imprese favorite dal periodo di attività, nate negli anni della crisi e quindi "preparate" alle difficoltà, dai maggiori investimenti e allo stesso tempo da una più contenuta dipendenza dal credito bancario.
E qui si giunge ad una prima conclusione. Le Pmi che si autofinanziano sono riuscite negli ultimi anni a correre più spedite delle altre penalizzate delle restrizioni che poi, nel tempo, hanno aggravato la situazione. Dal 2008 le regole di Basilea, complice poi la crisi, hanno creato un sistema più vigile e una gestione più oculata delle risorse da destinare agli eventuali richiedenti. E la stretta del credito maturata nell'ultimo periodo proseguirà ancora nel 2015, secondo le recenti previsioni della Banca d'Italia. Questo perché i prestiti alle imprese non finanziarie continuano a rappresentare "il fattore di maggiore vulnerabilità per le banche italiane". E le Pmi, neanche a dirlo, sono la tipologia più colpita.
Anche il sistema dei minibond, studiato proprio per iniettare liquidità e aiutare le Pmi a finanziarsi, non si è rivelato finora un successo. Un'impresa, infatti, ha la possibilità di ricorrere alle obbligazioni societarie (corporate bond) in alternativa al credito bancario. E da quanto ha potuto rilevare il Cerved, solo 29 Pmi hanno effettivamente emesso minibond per un totale di 226 milioni di euro.
In conclusione, solo osservando una risalita degli indicatori macroeconomici del paese si garantirebbe una ripartenza certa delle Pmi più in difficoltà. E il processo passa, come evidenziato più volte, per la ripresa della domanda interna e un freno al credit crunch.