I giudici sostengono che la riforma del meccanismo di perequazione è stata introdotta per proteggere l'interesse generale
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La Corte europea dei diritti umani ha respinto, dichiarandolo inammissibile, il ricorso di 10.059 pensionati contro il decreto Poletti (2015) sulla perequazione delle pensioni dal 2012. Nella decisione, che è definitiva, i giudici di Strasburgo affermano che le misure prese dal governo e dal legislatore non violano i diritti dei pensionati.
I pensionati, rappresentati tutti dall'avvocato Pietro Frisani, avevano presentato ricorso a Strasburgo all'inizio dell'anno contro il decreto Poletti (n.65/2015) sostenendo che il provvedimento, adottato per rimediare alla bocciatura da parte della Corte Costituzionale di quanto previsto dal decreto "salva-Italia" del 2011, avrebbe "prodotto un'ingerenza immediata sulle loro pensioni per il 2012 e 2013 e permanente per effetto del blocco sulle rivalutazioni successive". Inoltre, secondo i ricorrenti, la misura "non ha perseguito l'interesse generale, è sproporzionata" e avrebbe violato il loro diritto alla proprietà.
La Corte di Strasburgo gli ha dato torto. Nella decisione d'inammissibilità i giudici sostengono che la riforma del meccanismo di perequazione delle pensioni è stata introdotta per proteggere l'interesse generale. In particolare per "proteggere il livello minimo di prestazioni sociali e garantire allo stesso tempo la tenuta del sistema sociale per le generazioni future", e questo in un periodo "in cui la situazione economica italiana era particolarmente difficile". In secondo luogo la Corte osserva che "gli effetti della riforma del meccanismo di perequazione sulle pensioni dei ricorrenti non sono a un livello tale da esporli a delle difficolta' di sussistenza incompatibili con quanto prescritto dalla convenzione europea dei diritti umani".