La comunità crescerà sempre più. "Attrarli può rappresentare un'opportunità di crescita economica", dice il presidente di Aind Alberto Mattei a Tgcom24
di Stefania Bernardini© Ansa
I Digital Nomad sono una nuova comunità di lavoratori "mobili". Si tratta di persone che possono svolgere la loro professione da remoto (o da casa), hanno bisogno solo di una connessione e di un computer, così decidono di spostarsi per brevi o lunghi periodi dal loro Paese di residenza in un altro Stato all'estero. Non solo influencer o travel blogger, questo tipo di lavoratori sono occupati soprattutto nel settore della comunicazione e della tecnologia e anche in quello medico e dell'insegnamento. In tutto il mondo sono ormai milioni e il numero tenderà ad aumentare sempre di più nei prossimi anni. Nel 2023 in Italia, secondo i dati condivisi da “Nomad List”, si stima che i cittadini del Bel Paese in giro per il mondo siano stati più di 800mila. Da una ricerca del 2021 riportata da Statista, in tutto il mondo sarebbero oltre 35 milioni per un valore economico collettivo di circa 787 milioni. Le stime non sono ufficiali ma basate su sondaggi e proiezioni, il numero potrebbe essere anche più alto. Alcune nazioni stanno facendo una corsa per attrarre la fetta maggiore di questa comunità introducendo visti specifici, tipologie di alloggi per il medio lungo termine, connessione veloce praticamente ovunque. Altri, dopo averli portati sul loro territorio, stanno tornando indietro. E l’Italia? “Partendo un po' in ritardo, potrebbe evitare di commettere gli errori che hanno già fatto altri Paesi”, dice a Tgcom24 Alberto Mattei, presidente dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali, che l’anno scorso ha contribuito anche alla realizzazione della serie podcast di Dr Podcast “Si fa presto a dire Nomadi digitali”.
Un luogo comune sui Digital Nomad è ritenere che siano giovani single con zaino e computer in continuo spostamento da un luogo a un altro. In realtà, un sondaggio negli Usa, riportato dalla rivista Forbes, evidenzia che il 58,8% sono sposati o hanno una relazione di convivenza e il 48,3% ha figli sotto i 18 anni. Di questi ultimi, il 70,4% ha già sperimentato esperienze di lavoro da remoto in giro per il mondo con i bambini. Di conseguenza le tipologie di persone che si definiscono “lavoratori nomadi” sono diverse e con aspettative e necessità differenti. In comune, tra tutti coloro che scelgono di lavorare e viaggiare contemporaneamente, c’è la necessità di sperimentare un nuovo stile di vita in grado di favorire mobilità, libertà, benessere personale e professionale e scambi culturali.
Come si legge nel report 2023 dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali, a differenza dei turisti tradizionali, i remote worker hanno l’esigenza di creare un senso di appartenenza nei luoghi in cui scelgono di spostarsi. Diventano a tutti gli effetti nuovi "abitanti temporanei" delle comunità. La maggior parte dei nomadi digitali lavora in settori ad alto valore aggiunto, con competenze che spaziano dal mondo della comunicazione, all’insegnamento, all’information technology e anche al settore medico.
Cercano luoghi in cui possano lavorare serenamente stando a contatto con la natura e avendo facile accesso a una serie di attività da praticare nel tempo libero come eventi culturali ed enogastronomici, sport ed esperienze autentiche del territorio e della comunità locale. In pratica i quattro aspetti irrinunciabili sono: la qualità della connessione a Internet, costi della vita adeguati alle loro esigenze, attività culturali e la possibilità di sperimentare le tradizioni locali.
Attualmente Bali, Portogallo, Canarie, Grecia, Thailandia e vari altri Paesi dell’Asia e del Sudamerica sono tra le mete che attraggono più digital nomad. Questi Stati hanno avviato una serie di iniziative di rimodulazione del territorio, per esempio con la costruzione di coliving per remote worker, connessione free in tutti i luoghi pubblici, sim card con giga illimitati, coworking, bar con postazioni per lavorare al pc e visti per Digital Nomad. Un’indagine del Mit Enterprise Forum ha rilevato che la Grecia, riuscendo con il suo Digital Nomad Visa ad attirare 100mila nomadi digitali ogni anno, beneficerebbe di oltre 1,6 miliardi di euro. Questi lavoratori portano con sé un bagaglio enorme di conoscenze innovative, visioni ed esperienze professionali che rappresentano un capitale umano d’immenso valore di cui il territorio ospitante potrebbe usufruire. Allo stesso tempo c’è il problema dell’impatto economico negativo per la popolazione residente fissa e dei fenomeni di gentrificazione che possono generare.
I remote worker tendono ad andare in luoghi in cui il costo della vita è inferiore al Paese di provenienza. Hanno quindi un potere d’acquisto maggiore rispetto ai cittadini della località ospitante. Questo crea, come successo per esempio alle Canarie e in Portogallo, un aumento dei prezzi delle case o delle auto in affitto, dei servizi e delle attività di svago che diventa insostenibile per la popolazione locale. “Se da una parte attrarre nomadi digitali può rappresentare una grande opportunità di crescita economica (e non solo) per i Paesi ospitanti - spiega Mattei a Tgcom24 - dall’altra se proiettato su larga scala, questo fenomeno rischia di generare pericolose disparità economiche e sociali tra diverse aree geografiche”.
Tornando all’Italia, il nostro Paese ha tutte le caratteristiche per diventare meta ideale per Digital Nomad sia stranieri che italiani. Il territorio permette di vivere esperienze e realtà differenti in un’unica nazione con i suoi mari, le montagne, i laghi, i piccoli borghi, le città d’arte e un patrimonio artistico, culturale ed enogastronomico immenso e diversificato. Agli occhi degli stranieri, lo stile di vita italiano è invidiabile per il carattere della sua gente, l’ospitalità, il clima, il valore della famiglia e la convivialità. Molti guardano all’Italia come il Paese della lentezza, dove è possibile rallentare i ritmi di vita e riscoprire il valore del proprio tempo, immergendosi nella storia, nella bellezza e nella cucina del territorio.
Stando al report dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali, il 43% dei nomadi digitali sceglierebbe il Sud Italia e le Isole come destinazione privilegiata, il 14% il Centro Italia e solo il 10% il Nord Italia. Il 93% degli intervistati si è mostrato interessato a vivere per periodi di tempo variabili in piccoli comuni e borghi considerati luoghi dove la qualità della vita è migliore, rispetto ai grandi centri urbani.
Proprio dai borghi italiani arrivano alcuni esempi di iniziative dirette ad attrarre studenti o lavoratori digitali per far conoscere le tradizioni locali e anche avviare una riqualificazione del territorio e ripopolamento. A Belmonte Calabro, nel Basso Tirreno Cosentino, dal 2016 ha preso il via “La Rivoluzione delle Seppie”, che offre l’opportunità di studiare e lavorare da remoto nel paesino stando a contatto e lasciandosi contaminare dalla popolazione locale. L’obiettivo del progetto è quello di riempire i vuoti dei territori, sia fisici che culturali, creando nuove comunità alimentate attraverso l’interscambio di conoscenze per abitare un luogo temporaneamente ma in maniera costante.
In Toscana, nel piccolo borgo di Pontremoli in provincia di Massa Carrara è nato Start Work Pontremoli dove i digital nomad e i residenti locali collaborano insieme, per co-progettare e promuovere questa località. L’associazione omonima, oltre a sostenere e seguire passo dopo passo le persone e i professionisti che arrivano per aiutarli a inserirsi nel tessuto sociale, offre gratuitamente spazi di lavoro condivisi, supporto nella ricerca di un alloggio e una serie di attività ludico ricreative per favorire la socializzazione e l’integrazione con la comunità locale.
Dall’arrivo dei Digital Nomad, l’Italia potrebbe ottenere numerosi benefici sia in termini economici che sociali. Attualmente però l’offerta è fornita da singoli progetti o attività distribuite in alcune zone del territorio che non interagiscono tra di loro. Secondo l’Associazione Italiana Nomadi Digitali, servirebbe per esempio un portale unico in cui un lavoratore italiano o straniero, che decide di trasferirsi o muoversi per alcuni mesi nel nostro territorio, possa trovare tutte le soluzioni per le sue necessità come case, coliving, attività e istruzioni per ottenere visti. Per farlo sarebbe necessaria la collaborazione attiva tra istituzioni, enti pubblici, enti privati e comunità locali. Serve anche un quadro normativo specifico e una rimodulazione dell’offerta di alloggi, per esempio con sconti su affitti per brevi/medi periodi in bassa stagione o nei borghi. A marzo 2024 in Italia è stato intanto approvato il visto speciale per “nomadi digitali” anche se con diverse limitazioni.
Massimo Ciuffreda (Vice Presidente AIND)spiega a Tgcom24 che l'Italia non dovrebbe “seguire quello che hanno fatto altri Paesi prima di lei, ma piuttosto studiare, progettare e sviluppare un proprio modello di attrazione e accoglienza basato su fattori identitari, sostenibili e a impatto socio-economico positivo sulle comunità locali”. Secondo Legambiente, degli oltre 5.533 piccoli Comuni e borghi italiani sotto i 5mila abitanti, oltre 2.381 sono già in avanzato stato di abbandono e i rimanenti completamente spopolati. Attraverso uno scambio di risorse responsabile, equo e sostenibile tra le comunità locali e i nomadi digitali, questi luoghi potrebbero tornare ad avere una seconda vita e come dice Mattei “i nostri borghi potrebbero potenzialmente diventare gli uffici più belli del mondo”.