Nelle PMI il numero di signore cresce lentamente, soprattutto grazie a fattori demografici. Segnali più incoraggianti dalle aziende con un fatturato di oltre 200 milioni, dove “l’effetto trascinamento” sembra più visibile
© agenzia
C'è ancora tanta strada da fare ma il problema della parità tra i sessi ad alto livello registra quanto meno un significativo miglioramento: per la prima volta, nel 2017, le donne che siedono nei board delle società quotate è maggiore di un terzo rispetto al totale dei membri dei Consigli d’Amministrazione. Lo evidenzia la ricerca “Le donne ai vertici delle società italiane” condotta da Cerved, primario operatore in Italia nell’analisi del rischio del credito, e presentata nella biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” nell’ambito di un convegno promosso dalla Fondazione Marisa Bellisario
La rappresentanza femminile è cresciuta di 558 unità tra le società quotate in borsa e di 660 tra le controllate pubbliche, in gran parte grazie all’introduzione della legge sulle quote di genere, approvata nel 2011, che impone loro di riservare almeno un terzo dei componenti degli organi di amministrazione e controllo al genere meno rappresentato. Sono 162 (70%) le società quotate che ottemperano l’obbligo, tuttavia solo in 26 (11%) il numero supera di almeno un’unità il minimo richiesto: infatti a fine 2017 sono 751 le donne che siedono nei Consigli d’Amministrazione delle 227 società quotate alla Borsa di Milano, pari al 33,5% dei 2.244 membri dei board.
Parliamo di un aumento del 9,3% sul 2016 e di un numero quattro volte superiore a quello del 2011. Rimangono marginali invece i casi di donne che ricoprono la carica di Amministratore Delegato (18 a fine 2017, una in più del 2016, pari al 7,9% delle società) o di presidente del Cda (23, due in più del 2016).
I dati elaborati da Cerved mostrano che al grande successo avuto dalla legge nel favorire l’aumento della presenza femminile nei board delle società quotate e controllate non è corrisposta un’eguale capacità di produrre un "effetto trascinamento" sulle altre imprese. Nelle posizioni di vertice delle società che non sono soggette alla legge sulle quote di genere, infatti, la presenza femminile cresce lentamente, in gran parte grazie a fattori demografici, con una maggiore quota mano a mano che le nuove generazioni assumono il comando. Segnali più incoraggianti si osservano nel segmento delle imprese di maggiore dimensione (fatturato oltre 200 milioni), dove le norme sulle società quotate potrebbero aver prodotto effetti indiretti.
© ufficio-stampa
“La legge è stata un successo e ha trovato ampia applicazione anche se la crescita dove non ci sono quote rosa è lenta – commenta Marco Nespolo, Amministratore Delegato di Cerved, che ha illustrato la ricerca -. Per avere un risultato profondo nel tessuto economico del Paese e per promuovere una maggiore presenza femminile anche negli spazi non contemplati dalla legge c'è molto da lavorare. Le imprese, ad esempio, possono utilizzare di più e meglio la tecnologia e lo smart working per favorire percorsi di carriera femminili più rapidi”.
“La mia battaglia sulle quote di genere - commenta Lella Golfo, Presidente della Fondazione Marisa Bellisario, promotrice e prima firmataria della legge omonima - ha prodotto un vero e proprio miracolo. A cambiare sono stati prima di tutto i dati, con un numero di donne mai visto nei board, ma anche la cultura e la mentalità. Le imprese hanno potuto apprezzare il contributo femminile e oggi abbiamo board più giovani e competenti. Ma ora dobbiamo andare oltre. Servono più donne nei ruoli esecutivi e, prima che la legge scada, dobbiamo amplificarne l’effetto di contagio sull’intero sistema economico. Avere più donne ai vertici significa traghettare il Paese verso un orizzonte di crescita, benessere, modernità”.