Il calo della domanda mondiale e dell'export deriva (anche) dal rallentamento delle economie emergenti
Per il Fondo monetario internazionale le difficoltà dei paesi emergenti (Cina e Brasile soprattutto) sono un motivo di rischio per i mercati finanziari mondiali, il cui contagio potrebbe riguardare anche le borse dei paesi avanzati. Intanto, al di là di una questione propriamente finanziaria (“il ruolo della Cina nel sistema finanziario globale continua a crescere”, viene fatto notare), l'economia mondiale sembra già subire i mutamenti e i rallentamenti degli emergenti.
La Cina, che peraltro sta attuando un nuovo modello di sviluppo, ha fissato per quest'anno un target di crescita al 6,5%, che è comunque inferiore al 7% del 2015. L'obiettivo, così, risulta essere il più basso degli ultimi 25 anni. In più l'intenzione dichiarata, al fine di rilanciare l'economia, è quella di intensificare misure in questo senso, ma con conseguenze sul deficit pubblico (che crescerebbe rispetto allo scorso anno).
Già a febbraio le esportazioni hanno subìto un drastico calo (del 25,4% su base annua), così come l'import (che ha perso il 13,8%). In poche parole una conferma dell'attuale debolezza della domanda mondiale che ha ripercussioni sull'Unione europea, considerato che la Cina (subito dopo gli Stati Uniti) è tra i principali partner commerciali.
Complessa, poi, è la situazione in Brasile alle prese, oltre che con una pesante recessione, con una serie di scandali politici che hanno scosso il paese. Le stime prevedono un calo del Pil, ancora nel 2016, del 3,5% (e l'inflazione oltre il 7%), dopo la caduta del 2015 (-3,8%). La crisi brasiliana, come è facile presumere, si ripercuote sull'intera area sudamericana, tra i paesi Mercosur (colpiti, inoltre, dalle difficoltà economiche del Venezuela) e in particolare l'Argentina, essendo il Brasile uno dei principali mercati per le sue esportazioni. Ma anche l'Europa e l'Italia, visto il contributo dell'area che ha registrato una variazione negativa dell'export ad inizio anno.
Più in generale, dunque, non deve stupire come il rallentamento della domanda globale stia condizionando inoltre l'attività produttiva statunitense (così come l'apprezzamento del dollaro, motivo per cui al momento la Fed ha deciso di non alzare ulteriormente i tassi), che a febbraio ha segnato – ricorda l'Istat nella nota mensile sull'andamento dell'economia – un decremento della produzione industriale (-0,5% rispetto al mese precedente).