Le esportazioni dovrebbero contribuire in modo determinante alla crescita economica del Paese anche nei prossimi mesi, compensando una domanda interna ancora in difficoltà
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Quello certificato dall'Istat (le esportazioni italiane sono cresciute nel corso del 2014) è un buon risultato per un settore che, oltre a rappresentare una porzione consistente del Prodotto interno lordo dell'Italia, dovrebbe contribuire alla crescita economica del Paese durante il 2015.
Nel 2014, la crescita dell'export nazionale (+2%) è diffusa a tutte le aree territoriali, eccezion fatta per l'Italia insulare (-13,8%). Le regioni nord-orientali e centrali hanno registrato l'incremento più consistente, crescendo rispettivamente del +3,5 e del 3,0%.
Ma quali sono i prodotti che hanno maggiormente trainato l'export? Gli autoveicoli da Piemonte ed Emilia-Romagna, gli articoli farmaceutici, chimico-medicinali e quelli botanici dal Lazio e Marche. Questi hanno controbilanciato inoltre la contrazione delle vendite dei prodotti petroliferi raffinati da Sicilia e Sardegna e di metalli di base e prodotti in metallo (esclusi macchine e impianti) da Toscana e Piemonte.
Il 2014 è stato sicuramente un buon anno per l'export italiano. Ma la situazione non dovrebbe cambiare nel corso dei prossimi mesi, anzi. Di recente, la Commissione europea si è detta convinta che l'economia italiana tornerà a crescere nel corso del 2015 (+0,6%) principalmente grazie all'export, che compenserà una domanda interna modesta.
Le esportazioni rappresentano quindi un'opportunità per l'economia italiana e le sue imprese, che nel corso degli ultimi anni sono rimaste competitive sui mercati internazionali. Come? Aumentando la qualità dei prodotti esportati. Dal 2000 ad oggi, secondo uno studio del Centro Studi di Confindustria, la qualità dei beni esportati (specie i prodotti chimici, farmaceutici, macchinari e apparecchiature) misurata come rapporto tra valori medi unitari e prezzi alla produzione del venduto all'estero, è cresciuta del 25% cumulato (+1,6% medio annuo contro lo 0,9% di quello tedesco, lo 0,5% francese e lo 0,4% spagnolo).
Le imprese sono riuscite a compensare almeno parzialmente un fattore che possiamo definire fisiologico: complice l'avanzata dei Paesi emergenti, le economie avanzate tendono a perdere una porzione di commercio internazionale nel corso del tempo. Pur non rappresentando un'eccezione (dal 2000 al 2014, l'Italia ha perso lo 0,9%), il nostro Paese è riuscito – nel confronto con i G-10 più la Spagna – ha consolidare la sua posizione (+0,6% dal 2000 ad oggi). Soltanto Germania (+4,5%) e Spagna (+1,2%) hanno fatto di meglio. Ci sono anche degli aspetti negativi, però: l'aumento del costo del lavoro per unità di prodotto (+3% medio l'anno dal 2000 al 2014 contro il -0,1% tedesco). Per rimanere competitive, le imprese hanno ridotto così i margini di profitto. Una scelta che tuttavia non è sostenibile nel lungo periodo perché danneggia la capacità di investimento, spiegano da viale dell'Astronomia.
Tuttavia occorre incentivare ulteriormente le esportazioni. Aiuti potrebbero arrivare dal ministero dello Sviluppo economico che, stanziando 260 milioni di euro, vuole aumentare l'export di 50 miliardi nell'arco di tre anni e dalla Cassa depositi e prestiti, che ha aumentato le risorse dedicate alle esportazioni e all'internazionalizzazione delle imprese, passate dagli attuali 6,5 miliardi ai futuri 15 miliardi.
Fattori che potrebbero contribuire ad accrescere ulteriormente la fiducia nel futuro delle aziende italiane dedite all'export. Molte di loro, secondo un'indagine realizzata dal Centro Studi di Unioncamere, sono convinte di poter continuare a crescere sui mercati esteri nei prossimi mesi e secondo cui le buone prospettive di crescita verso i partner tradizionali, come Stati Uniti e Germania, attenueranno i possibili effetti negativi dovuti alle tensioni presenti in alcuni Paesi diventati importanti negli ultimi anni (leggasi Russia).