La Banca centrale europea potrebbe seguire quella americana sulla stessa strada se la mediazione tra falchi e colombe andrà a buon fine, scartando l'ipotesi di un rialzo maggiore
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La Fed ha aumentato il tasso di interesse dello 0,25%, come previsto. Si tratta del decimo incremento consecutivo da parte della Banca centrale americana, che suggella la serie più rapida di aumenti dei tassi in quattro decenni. La Fed segnala una possibile pausa nel rialzo dei tassi, scrivendo in un comunicato che "terrà conto" degli effetti degli aumenti prima di alzarli nuovamente. Tocca ora alla Bce che potrebbe seguire la Fed sulla stessa strada se la mediazione tra falchi e colombe andrà a buon fine, scartando l'ipotesi di un rialzo maggiore. Si teme un nuovo rialzo dei mutui.
Gli ultimi dati sull'inflazione nominale che ha rialzato la testa ad aprile non hanno mosso più di tanto il dibattito interno al board, che resta ancorato al punto di partenza: l'inflazione di fondo è ancora troppo alta e la strada maestra per combatterla restano i tassi d'interesse. Se per la Fed, però, si prospetta una pausa che le Borse europee mercoledì hanno apprezzato chiudendo positive, per Francoforte il ciclo di rialzi più rapido dal Dopoguerra potrebbe proseguire anche a giugno, sfidando i timori di una recessione e i contraccolpi sui Paesi molto indebitati, come l'Italia, destinata a veder lievitare ancora di più la sua spesa per interessi, con conseguente rialzo dei mutui e dei Btp.
L'allarme lo aveva lanciato qualche settimana fa il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, avvertendo sui "rischi per la stabilità finanziaria e seri problemi di bilancio" che ulteriori rialzi dei tassi possono comportare per l'Italia, costretta già oggi a pagare tassi di interesse vicini al 4% per vendere i suoi titoli di Stato e finanziare il suo debito. Una situazione che potrebbe solo peggiorare se nei prossimi mesi la Bce accelererà il ritmo delle dismissioni di titoli accumulati negli anni dei massicci acquisti del Quantitative easing, un portafoglio finora calato di 15 miliardi al mese.
I falchi del board vorrebbero vedere un drastico stop ai riacquisti dei titoli di Stato in scadenza: un'ipotesi che aumenterebbe la pressione sui debiti elevati per i quali il salvagente Bce si allontana sempre più in fretta.
Gli effetti dei rialzi si abbattono anche sull'economia in generale. Diversi economisti, tra cui gli analisti di S&P qualche giorno fa, mettono in guardia dalle prospettive di recessione che, se scampate finora, non è detto che lo siano per sempre. Per Francesco Saraceno di Ofce, Sciences Po e Luiss, la Banca centrale "sa che fra qualche mese inizieranno a mordere le sue politiche, sul credito, sul consumo e sull'investimento delle imprese", e quindi dovrebbe "mettersi in pausa per evitare una recessione", accettando il fatto che la trasmissione della sua politica avviene dopo 12-18 mesi, quindi gli effetti delle sue prime misure prese da luglio scorso si vedranno pienamente a partire dall'estate in poi.
Ma gli analisti di mercato non vedono la Bce orientata verso una pausa. Anzi, la scommessa che raccoglie il più ampio consenso è di un nuovo rialzo da 0,25%. Il dubbio è solo sulle indicazioni per le riunioni future, ma molto probabilmente la presidente Christine Lagarde sceglierà ancora di non dare nessuno spunto, ribadendo che si deciderà di volta in volta sulla base dei dati più recenti.
Questa volta, gli ultimi dati segnalano un'inflazione 'core' ancora persistente, e un tasso nominale in risalita temporanea, a causa dei rialzi dei prezzi energetici. Inoltre, lo stress bancario di metà marzo non ha fatto troppi danni agli asset europei, e il Pil dell'Eurozona si mantiene in crescita, seppur debole (+0,1%). E' uno scenario che invita Francoforte a proseguire sulla strada scelta finora, che si sta rivelando efficace visto il drastico calo dei prestiti a famiglie e imprese nel primo trimestre di quest'anno, un dato che il board guarda con attenzione.
La situazione in Usa, invece, può permettersi una pausa dopo dieci rialzi consecutivi: il tasso di interesse si trova ora tra il 5% e il 5,25%, un livello mai raggiunto dall'estate del 2007, prima della crisi finanziaria. Inoltre, dopo le ultime crisi bancarie la Fed rassicura che il sistema è solido e resiliente, ma le condizioni del credito più rigide per le famiglie e le imprese potrebbero non solo pesare sull'attività economica, ma potrebbero accelerare il processo di disinflazione.