La richiesta, relativa agli anni 2015 e 2016, arriva dopo un'indagine per frode fiscale. L'imposta sarebbe applicata sui dati personale ceduti dagli utenti in cambio dell'accesso gratuito alle piattaforme
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Il fisco italiano avrebbe chiesto a Meta, X e Linkedin un miliardo di euro per il versamento dell'Iva. La notizia è stata diffusa dall'agenzia Reuters, secondo la quale l'iniziativa sarebbe l'esito di un'indagine degli ultimi mesi per frode fiscale. Nel mirino è finita la gestione dei dati personali degli utenti che, secondo le autorità italiane, andrebbero di fatto "contabilizzati". In sostanza, la cessione dei dati in cambio dell'accesso gratuito da parte di chi fruisce del servizio andrebbe considerata un vero e proprio contratto, in cui le informazioni dell'utente diventano una merce: in effetti, proprio quei dati permettono alla piattaforma di avere un profitto economico. Ecco dunque la richiesta del pagamento dell'Iva.
A Meta è stato presentato un conto da 887,6 milioni, a X da 12,5, a Linkedin da 140: in tutto 1,04 miliardi. La richiesta riguarderebbe solo gli anni 2015 e 2016, che sono in scadenza. Ma l'indagine avrebbe preso in esame anche i periodi 2021-22. Un portavoce di Meta ha spiegato di aver "collaborato pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale" e di intendere continuare a farlo. "Prendiamo sul serio - chiarisce il portavoce - i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo. Siamo fortemente in disaccordo con l'idea che l'accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell'Iva".
"Nulla da dichiarare" è staa la risposta di Linkedin, contattata per una replica, e nessuna risposta da parte di X: a entrambe le società Reuters si è rivolta per sapere cosa pensassero della richiesta del fisco italiano.
La cifra richiesta dal fisco italiano non è particolarmente importante per le casse di questi giganti, ma la vicenda è significativa perché introduce una novità nella contabilità fiscale: il senso della richiesta di questi versamenti parte infatti dall'assunto che le registrazioni sulle piattaforme vadano tassate anche se gratuite. Tra l'altro, si tratta di una procedura che potrebbe essere estesa all'Unione europea, dal momento che l'Iva è una tassa armonizzata in tutti i Paesi che ne fanno parte e avere quindi pesanti ripercussioni sul funzionamento del business hi-tech.
Oggi in Italia vige l'Isd, l'imposta sui servizi digitali, pari al 3% dei ricavi che derivano da pubblicità online personalizzata, servizi di intermediazione tra utenti e trasmissione dati. Secondo gli ultimi studi il gettito nel nostro Paese è di 400 milioni di euro, inferiore ai previsti 708 milioni. D'altra parte, molti big scelgono di stabilirsi in Irlanda, dove va il 40% del gettito europeo.