La certificazione verde potrebbe diventare necessaria anche per andare a lavorare. Ma in caso di obbligatorietà, chi decide?
© Ansa
Non solo per entrare in un bar, per andare al cinema o per prendere l’aereo. Il green pass potrebbe diventare necessario anche per andare a lavorare. Nei giorni scorsi si è acceso il dibattito sull’ipotesi, con Confindustria che aveva chiesto al governo che anche i luoghi di lavoro fossero soggetti alla nuova sfilza di regole. La prospettiva sembrava tramontata, ma nelle ultime ore si è tornato a parlarne. Ma in caso di obbligatorietà, chi decide?
PER ENTRARE IN UFFICIO DECIDE IL DATORE DI LAVORO
Il datore di lavoro ha il potere, ma anche il dovere, di esigere dai lavoratori il rispetto di ogni misura adottata per la sicurezza sul lavoro, basti pensare alle tute, all’antinfortunistica e al casco. Se il vaccino viene considerato un dispositivo di protezione, oltre che di prevenzione, non può essere rifiutato dai lavoratori, pena la risoluzione del rapporto di lavoro. Detto in parole povere, si rischia il licenziamento.
LA NORMA
A stabilirlo è l’art. 2087 del codice civile, in lettura combinata con le norme del T.U. sulla sicurezza del lavoro (dlgs n. 81/2008). Il green pass per recarsi in ufficio o in fabbrica, sta dividendo. Da una parte i datori di lavoro che sono favorevoli, dall’altra i sindacati che puntano il dito contro le imprese che vorrebbero imporre la vaccinazione in modo unilaterale. Ma se si guarda la normativa vigente, si possono già ottenere delle risposte interpretative.
L’OBBLIGO DI LEGGE
Nello specifico, l’art. 2087 del codice civile che “obbliga” l’imprenditore, pubblico o privato, ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Il datore di lavoro, quindi, deve tutelare la salute dei propri lavoratori. La questione da porsi, nel caso del Covid, è se la sicurezza aumenta sul posto di lavoro, con tutti i lavoratori vaccinati. E la risposta la dovrebbe fornire la scienza, non le interpretazioni di legge. Se la risposta fosse affermativa, allora il datore di lavoro può chiedere ai dipendenti la vaccinazione, con conseguente green pass. Diversamente, potrebbe rischiare di disattendere l’obbligo, previsto dalla normativa vigente, sulla sicurezza sul luogo di lavoro.
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE
Il tribunale di Modena ha stabilito (con la sentenza n. 2467/2021 del 23.07.2021) che l’azienda può sospendere dal servizio e dalla retribuzione chi non vuole vaccinarsi contro il Covid. Nello specifico, il giudice scrive che “il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’art. 2087 del codice civile di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori”. A supporto di questa decisione, il tribunale cita nella sentenza la direttiva europea che, nel giugno 2020, ha incluso il Covid tra gli agenti biologici contro i quali è necessario tutelare gli ambienti di lavoro. E la mascherina può non bastare come misura di protezione.
LA SOSPENSIONE
Sempre il tribunale di Modena puntualizza che il rifiuto del vaccino anti-Covid non può comportare sanzioni disciplinari, ma può avere delle conseguenze per quanto riguarda la valutazione oggettiva dell’idoneità alla mansione del dipendente. Chi è a stretto contatto con il pubblico può quindi anche essere sospeso dal lavoro e dalla retribuzione in caso di mancata vaccinazione. La strada intrapresa sembra quella di non imporre in modo esplicito l’obbligo della vaccinazione, ma introdurlo con misure che penalizzano di fatto chi non si è sottoposto all’iniezione.