Raggiungere la media dell'Unione europea consentirebbe la creazione di 700 mila nuovi posti di lavoro
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Non è una coincidenza se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto farne un breve accenno nel suo discorso d'insediamento. Il divario digitale, che ci separa dal resto dei nostri partner europei, rappresenta per l'Italia un grave danno. Colmarlo, aumentando gli investimenti nelle nuove tecnologie, significherebbe dare un impulso quantomai necessario alla crescita economica del Paese.
Del resto l'Agenda Digitale europea, con cui sono stati fissati gli obiettivi per sviluppare l'economia e la cultura digitale, è una delle sette iniziative della Strategia Europa 2020 ma che l'Italia sta attuando con colpevole ritardo: dal 2012 al novembre del 2014, abbiamo adottato soltanto 18 dei 53 provvedimenti attuativi (tra regolamenti e regole tecniche) previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda Digitale.
Eppure il 2015, osserva con cauto ottimismo Confindustria digitale, potrebbe essere l'anno buono per iniziare a colmare (finalmente) il gap che ci divide dal resto dell'Unione europea, invertendo così un trend in atto da troppo tempo e che, secondo uno studio dell'Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, ha influito pesantemente sulle performance della nostra economia.
Anche a causa di una riduzione degli investimenti in Information Comunication Technology (ICT), dal 1994 al 2012 il PIL italiano per occupato ha perso il 15% rispetto a Francia e Germania, il 25 rispetto al Regno Unito e addirittura il 30 nel confronto con gli Stati Uniti.
Ad oggi soltanto il 4,8% del proprio Prodotto interno lordo (PIL) dell'Italia è riconducibile all'ICT. I nostri partner europei, come già anticipato, investono somme di gran lunga superiori: la Germania impiega il 6,9% del PIL, la Francia il 7% e la Gran Bretagna il 9,6%. Un divario che si traduce in 25 miliardi di euro l'anno di mancati investimenti in innovazione digitale rispetto alla media europea e che se colmato garantirebbe al PIL italiano un'ulteriore crescita aggiuntiva di un punto e mezzo percentuale.
Ma raggiungere la media dell'UE, dove il 6,6% del PIL è riconducibile alle nuove tecnologie, implicherebbe enormi vantaggi anche sul fronte occupazionale, consentendo la creazione di 700 mila nuovi posti di lavoro, secondo una stima di Confidustria: un numero più che sufficiente per soddisfare la richiesta del mercato, che necessita di 150 mila professionisti della tecnologia.
E così, oltre ad impiegare circa 600 mila addetti e generare un mercato superiore ai 65 miliardi di euro, l'ICT potrebbe, se sfruttata meglio, fornire un'importante contributo all'economia italiana: stando ad un computo del CENSIS, infatti, una buona fetta della mancata crescita economica del nostro Paese – all'incirca 3,6 miliardi di euro l'anno: circa 10 milioni al giorno – è dovuta allo "spread digitale".
A disposizione, ricorda Confindustria digitale, ci sono potenziali risorse per 18 miliardi di euro da investire nell'arco di 6 anni e che, per l'effetto moltiplicatore dell'ICT, possono tradursi in un contributo aggiuntivo al PIL di mezzo punto percentuale l'anno.