Gli sgravi contributivi hanno sostenuto la risalita del mercato del lavoro. Ma l'incertezza della domanda interna resta un campanello d'allarme
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Gli ultimi dati Inps confermano un andamento positivo del mercato del lavoro nel 2015, trainato anche dalle regole e dagli sgravi contributivi introdotti dal governo. Qualche dato: nel 2015, complessivamente, i contratti a tempo indeterminato sono aumentati di 913 mila unità rispetto al 2014 (+54%). E sempre nel corso del 2015, il numero totale delle assunzioni è stato di 5.527.000, pari cioè ad un incremento di 655 mila unità rispetto al 2014.
In questo modo, insomma, il saldo tra assunzioni e cessazioni è stato pari a 563 mila posizioni lavorative mentre nel 2014 era stato negativo per 47 mila posizioni. Il discorso, però, cambia relativamente al primo mese del 2016. Le assunzioni, infatti, a gennaio sono state 407 mila, in calo di 120 mila unità (–23%) sullo stesso periodo del 2015 e 94 mila unità (-18%) rispetto a gennaio 2014.
C'è da considerare, a tale proposito, che dall'inizio di quest'anno è entrato in vigore il taglio degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, ora ridotti al 40%. E l'Istat, nell'ultima nota mensile sull'andamento dell'economia italiana, ha osservato che “per la metà delle imprese manifatturiere che hanno dichiarato un aumento dell'occupazione tra gennaio e novembre 2015, gli esoneri contributivi hanno costituito un elemento rilevante”.
Già Unimpresa aveva paventato l'ipotesi di un freno alle nuove assunzioni, causa sgravi contributivi di minore entità. Mentre da un'analisi del Centro Studi ImpresaLavoro (su dati Inps) è emerso che il 61% del totale dei contratti di lavoro a tempo indeterminato attivati nel 2015 è assistito dall'esonero contributivo. Ma il mercato del lavoro, che pure a gennaio ha registrato un trend positivo (+0,3% dopo il calo di dicembre 2015), potrebbe essere messo a dura prova dagli attuali scenari macroeconomici.
L'Italia è in deflazione, circostanza che può contribuire ad un possibile rallentamento dei consumi (in attesa di un'ulteriore riduzione generale dei prezzi), con ripercussioni su ricavi per le aziende e occupazione (taglio dei costi per far fronte alla diminuzione dei prezzi). Un motivo in più, insomma, per non abbassare troppo la guardia.
A vedere nero è soprattutto Confesercenti, secondo cui il tessuto imprenditoriale del commercio al dettaglio sta continuando a subire gli effetti di una ripresa fragile. Nei primi due mesi del 2016 si è evidenziata in questo segmento una riduzione di quasi novemila imprese, un calo che dipende in particolare dalla contrazione delle iscrizioni: mille in meno ogni anno dal 2013. Una dinamica che l'associazione ritiene essere legata, tra le altre, all'incertezza della domanda interna. Questo nonostante il recupero dei consumi osservato già negli ultimi mesi del 2015.