Il fronte banda ultralarga però si rafforza: tra il 2012 e il 2017 è passata dal 10% al 24% delle imprese, ma si amplia il divario tra Pmi e grandi imprese.
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La trasformazione digitale fa ancora fatica ad inserirsi nel sistema italiano. Eppure, là dove viene applicata porta produttività, investimenti e occupazione. A rivelarlo è la sesta edizione del Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi, secondo cui le aziende italiane hanno ancora "molta strada" da percorrere verso la rivoluzione digitale. Il fronte della banda ultralarga, però, cresce: tra il 2012 e il 2017 è passata dal 10% al 24% delle imprese, ampliando, però, il divario tra Pmi e grandi aziende.
Istat: il grande divario tra Pmi e grandi imprese Due terzi delle imprese sono praticamente "indifferenti" alla digitalizzazione dei processi produttivi e, a dirlo chiaramente sono i dati: il 63% le aziende, per lo più piccole e attive in settori tradizionali (di base al Centro o al Sud), hanno una bassa digitalizzazione. Il 32% ha una media, solo il 5% ha un'alta digitalizzazione. Si tratta di medio-grandi imprese che operano nel settore dell'elettronica, delle bevande, delle telecomunicazioni, degli alloggi e dell'informatica.
L'Italia ha un potenziale di trasmissione dell'innovazione di prodotto superiore a quello di processo. Nonostante questa scarsa "disposizione" al digitale, nel triennio 2014-2016 il 48,7% delle aziende italiane di industria e servizi di mercato con almeno 10 addetti ha svolto attività innovative. Il 30,3% sono "Innovatori forti", per cui innovano prodotti e processi; quasi il 25% sono "Innovatori di prodotto", ma non di processo; il 18,5% sono "Innovatori di processo", ma non di prodotto; circa il 22% sono "Innovatori soft", poiché si concentrano sulle novità per l'organizzazione e il marketing; il 4,9% sono "Potenziali innovatori", ossia hanno svolto attività innovative ma non innovazioni. In ogni caso la quota di innovatori è in aumento rispetto al biennio 2012-2014.