Il governo sta intraprendendo un percorso di riforma del terzo settore. Negli anni della crisi le imprese sociali hanno registrato performance migliori delle altre
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Parlando in occasione della Giornata mondiale sulla disabilità (che si celebra il 3 dicembre), il premier Matteo Renzi ha osservato come la riforma del Terzo settore sia prioritaria perché prioritari sono "i nuovi modelli di welfare" (la delega del Terzo settore, ha quindi ribadito, sarà in Aula con l'anno nuovo, tra febbraio e marzo). Tanti i punti di cui si già è discusso: la stabilizzazione del 5 per mille, il servizio civile e ulteriori misure fiscali agevolate per le imprese sociali, volte anche a favorire gli investimenti di capitale.
Per quanto riguarda il servizio civile, ad esempio, l'annuncio di 50 milioni in più in Legge di Stabilità (oltre ai 65 già stabiliti) è di qualche giorno fa. Così ha spiegato in una nota il sottosegretario al ministero del Lavoro, Luigi Bobba: "Tra la fine del 2014 e l'inizio del 2015 saranno circa 40.000 i giovani che potranno svolgere il servizio civile: 26.000 grazie alle risorse disponibili sul Fondo nazionale per il servizio civile, e più di 13.000 con quelle del programma Garanzia Giovani”. E con l'incremento di 50 milioni "il governo potrà rispettare l'obiettivo di arrivare gradualmente, entro il 2017, a 100.000 giovani in servizio civile".
C'è un aspetto del Terzo settore che merita un particolare risalto: l'impatto economico e occupazionale, oltre che in termini di sussidiarietà e bene comune, che riesce ad esprimere. In Europa le imprese sociali, e più in generale il Terzo settore, danno lavoro a 14 milioni di persone. Il governo, che appunto ha intrapreso tale percorso di riforma, mira tra le altre cose al miglioramento delle imprese sociali che pure hanno già tagliato dei traguardi importanti.
Prima di tutto, la definizione. Per impresa sociale (individuata dal Dlgs 155/2006) si intende a tutti gli effetti un'impresa privata che svolge normale attività, ma che presenta alcune peculiarità che le contraddistingue dalle altre, a cominciare dall'operatività in specifici settori (istruzione e formazione, tutela dell'ambiente, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale, ricerca, assistenza sociale e sanitaria). È previsto inoltre il divieto di distribuzione di utili tra i soci, ma almeno il 50% degli addetti deve essere a titolo oneroso. Di solito le imprese sociali vengono costituite come cooperative sociali, che a loro volta si dividono in due tipologie. Quelle di "tipo A” impegnate nella gestione di servizi socio-sanitari e quelle di "tipo B" finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate nei diversi settori di competenza (agricolo, industriale, commerciale o servizi).
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Negli anni della crisi, mentre le imprese in senso stretto affrontavano le difficoltà, alcune costrette a anche chiudere, quelle sociali crescevano. Una ricerca Tecnè diffusa alla fine del 2013 rilevava che tra il 2001 e il 2011 il numero degli occupati nel settore non profit era cresciuto del 39,4% (elaborazioni su dati Istat). Negli stessi dieci anni gli addetti delle imprese sono cresciuti del 4,5% mentre quelli delle istituzioni pubbliche sono scesi dell'11,5%. I principali incrementi hanno riguardato soprattutto il settore sociosanitario (+3%) e quello dell'istruzione (+5,6%). Le unità attive hanno registrato un balzo del 28% e i volontari del 43,5%. I lavoratori esterni risultavano in aumento del 169,4% e quelli temporanei del 48,1%.
Non solo occupazione. Mentre in quasi tutti gli ambiti economici gli investimenti in ricerca e sviluppo – arco temporale 2001-2011 – crollavano, nel non profit sono cresciuti del 2,2%. La quota del comparto non profit sul PIL nazionale nel 2011 è stata pari al 3,4% e la variazione del contributo al PIL tra il 2001 e il 2011 è stata del +122,6%.