La misura “non convenzionale” di Draghi non ha il solo scopo di contrastare la deflazione, ma anche di risollevare l'economia dell'Eurozona
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Ora che dubbi non ve ne sono più, che Mario Draghi da Francoforte ha lanciato il programma di acquisto di titoli di Stato (Quantitative Easing) – che prenderà il via a marzo 2015 per una cifra di 60 miliardi di euro al mese fino a settembre 2016 (per complessivi 1.080 miliardi) e in ogni caso finché l'inflazione non avrà raggiunto livelli soddisfacenti (almeno poco sotto il 2%) – i principali interrogativi riguardano gli effetti su imprese e famiglie e l'efficacia del piano per rilanciare l'economia.
Con il Quantitative Easing, infatti, si intende una politica monetaria espansiva – “non convenzionale, più volte definita – con cui la banca centrale, nella fattispecie la Bce (Banca centrale europea) acquista sul mercato titoli di Stato, “creando moneta”. Francoforte, a causa del rischio deflazione (la diminuzione del livello generale dei prezzi) nell'eurozona che si è poi concretizzato nell'ultimo periodo, stava preparando il terreno attraverso politiche di riduzione dei tassi di interesse e deprezzamento dell'euro, oltre che acquistare obbligazioni bancarie garantite (covered bond), quasi ad anticipare una parte degli effetti attesi del QE.
Stando a quanto riferito dallo stesso presidente della Bce, l'acquisto dei titoli di Stato prevede una condivisione del rischio al 20%, mentre il restante 80% peserà sulle banche centrali nazionali. Inoltre la Bce potrà acquistare entro un tetto che non superi il 33% del debito di ciascun paese e per ogni emissione non potrà acquistare più del 25% dei titoli.
L'impatto, teorico e più immediato, sull'economia reale è l'ingente iniezione di liquidità attraverso l'acquisto di titoli di Stato dalle banche, così da rendere più semplice l'accesso al credito a imprese e famiglie. Non si tratta, dunque, di una misura volta esclusivamente a mantenere stabile l'inflazione, bensì a risollevare le sorti dell'Europa.
Ad esempio, per quanto riguarda le famiglie, i mutui dovrebbero risultare più convenienti, considerando, poi, i tassi ridotti e l'euribor – parametro che usa come riferimento i mutui a tasso variabile – crollato dall'1% allo 0% sulla scadenza mensile. Il QE, in questo senso, dovrebbe spingere verso un ulteriore ribasso.
In che modo, inoltre, la Bce ha il fine di far ripartire l'economia? Sulla scia dell'esempio statunitense della Fed, l'intenzione è quella di rilanciare l'industria e soprattutto, con il conseguente deprezzamento dell'euro, le imprese maggiormente orientate alle esportazioni fuori dall'area della moneta unica. Il rischio, semmai, è per chi importa molto a causa del minore potere d'acquisto.
Del contrasto alla stretta del credito, si era già accennato. Di recente Confcommercio ha stimato in 97,2 miliardi di euro il credito di cui avrebbero avuto bisogno le piccole e medie imprese italiane ma che le banche, negli ultimi quattro anni, non hanno erogato. Ottenendo maggiore liquidità, è quanto sperano a Francoforte, le banche potranno ricominciare a prestare denaro a imprese e famiglie.
In aggiunta, questione fondamentale per l'Ue, è la ripresa degli investimenti. Senza investimenti (e senza la risalita dei consumi) la crescita è una chimera. Una delle conseguenze più gravi della crisi economica è stata la domanda debole e l'inevitabile calo dei prezzi, circostanze che hanno avuto ripercussioni sull'occupazione con le imprese costrette a tagliare i costi. La maggiore liqudità, sempre nelle intenzioni della Bce, dovrà perciò sostenere gli investimenti e l'occupazione. Ma su questo punto, in molti, ritengono che tale condizione necessiterà di una politica fiscale più favorevole.
Ad ogni modo la raccomandazione della Bce – una delle principali preoccupazioni, infatti – è che i governi, soprattutto quelli delle economie cosiddette periferiche, proseguano nel percorso di riforme strutturale al fine di risalire la china e di non adagiarsi sull'aiuto proveniente da Francoforte.