Secondo un report di The Boston Consulting Group c'è un legame diretto, anzi un circolo virtuoso, tra crescita economica e benessere sociale
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Benessere dei cittadini e crescita economica del Paese possono procedere a braccetto. A dirlo è il report "SEDA: Striking a Balance Between Well-Being and Growth" realizzato da The Boston Consulting Group e presentato alla stampa italiana a New York. Dalle osservazioni dell’indicatore SEDA (Sustainable Economic DevelopmentAssessment) – lo strumento lanciato da BCG nel 2007 per la misurazione del benesseredei cittadini in 152 Paesi – emerge un legame diretto, anzi un circolo virtuoso, tra crescitaeconomica e benessere sociale.
I Paesi che hanno investito di più nella conversione della ricchezza nel benessere del cittadino ne hanno tratto un vantaggio economico. Lo strumento SEDA analizza per ogni Paese 40 indicatori – economici e non solo – suddivisi in tre categorie (economia, investimenti e sostenibilità) ai quali assegna ogni anno un punteggio (che viene normalizzato per rendere confrontabili situazioni molto diverse).
Dal momento che la ricchezza di un Paese ha un impatto pervasivo su molti indicatori del benessere, il punteggio per ogni Paese viene rapportato con il reddito nazionale lordo pro capite: è il coefficiente SEDA di conversione della ricchezza in benessere. Aiuta a valutare la validità delle policy applicate a prescindere dal reddito iniziale.
E i risultati sono chiari: negli ultimi dieci anni i Paesi con un coefficiente SEDA più alto – cioè quelli più efficienti nella trasformazione del reddito in benessere – hanno avuto una crescita economica più solida. Non solo: dei 63 Paesi colpiti dalla recessione globale sono proprio quelli con un coefficiente SEDA più alto che hanno subito meno la crisi e sono riusciti a riprendersi prima.
A livello globale, ci sono ragioni per essere ottimisti. Dal 2007 a oggi in tutti i Paesi considerati sono cresciuti almeno 20 indicatori su 40, specie in settori chiave come la salute e l’istruzione, migliorando in linea di massima i punteggi generali. Ai vertici della classifica figurano – e non si stupisce nessuno – Norvegia, Svizzera e Islanda: a un alto reddito uniscono una decisa politica progressista e una forte attenzione alla governance. Ma attenzione: alti livelli di reddito non determinano per forza alti livelli di benessere.
Se si va a guardare tra gli Stati che la ricerca definisce “global powerhouse” cioè i 25 Paesi con la ricchezza maggiore o la popolazione più ampia, si notano differenze importanti: Australia e Stati Uniti hanno un reddito nazionale lordo pro-capite simile (50mila dollari), ma punteggi diversi: 79 la prima e 76 la seconda. Il coefficiente degli Usa (0.91), che vivono un declino decennale, è più basso rispetto a quello della Svizzera (1.14), che pure è nella stessa fascia di reddito pro-capite.
Cambiano le policy, sono diversi gli esiti. Tra i Paesi meno sviluppati va sottolineato il percorso della Polonia: migliora in 34 indicatori, sale di 10 posizioni nella classifica del punteggio generale dal 2009 al 2018 e supera la Grecia, indebolita dalla crisi economica (perde 11 posizioni) con un grave deterioramento del settore occupazione (una variazione di -40 tra 2009 e 2018). Va notato anche l’exploit del Vietnam, che in dieci anni ha guadagnato ben 20 posizioni puntando su istruzione (+15), infrastrutture (+18), governance (+14) e stabilità economica (+16), insieme a quello della Cina, che registra un balzo di 25 posizioni trainato dal boom delle infrastrutture (variazione di +21, inferiore solo a quello dell’Indonesia, +23). E l’Italia? È al 30esimo posto e ha un coefficiente SEDA di 0,92.
Rispetto all’Europa ha rendimenti inferiori, specie per l’occupazione, anche se si notano miglioramenti nella stabilità economica e nella sanità. Rispetto al resto del mondo, invece, registra performance migliori in tutti i campi, soprattutto nell’ambiente, nella governance e nel settore della società civile. Tranne che per l’occupazione.
Dall’indicatore SEDA si possono trarre alcune lezioni di policy: in generale, i settori più importanti su cui un governo non può transigere sono (e saranno) istruzione e occupazione, cioè quelli in cui risulta maggiore lo scarto dei Paesi più efficienti sugli altri. A questi va aggiunto anche quello delle infrastrutture, in particolare nel digitale, ormai un vero e proprio imperativo. I Paesi più in difficoltà, inoltre, dovranno dedicarsi allo sviluppo del settore salute. Importante, sottolinea il rapporto, è anche evitare operazioni che favoriscano un processo decisionale più veloce a discapito della salute del sistema di governance di un Paese.
Con la consapevolezza che le buone decisioni di un governo hanno sempre impatto su tutti gli ambiti di azione. Mantenere la stabilità economica, rafforzare l’istruzione, promuovere la parità di genere e la partecipazione civile sono tutte scelte che concorronoad aumentare gli standard di vita della popolazione. Al tempo stesso rendono la crescita economica più veloce e più resiliente il sistema.