Eppure, nonostante il miglioramento registrato dai vari indicatori economici, gli italiani restano incerti sul futuro
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Motivi per tornare a sorridere sembrano essercene. Seppure a passo lento la risalita comincia a farsi sentire, gli indicatori mostrano risultati migliori rispetto al passato e anche l'Ocse, nonostante i ritardi che ancora permangono, adesso promuove l'Italia. Le stime di crescita del Pil, infatti, restano stabili a +0,6% per il 2015 e aumentano di 0,2 punti per il 2016, ora a +1,5%.
Certo, stride (e non poco) l'indagine Censis – molto più a rileggerla l'indomani della diffusione dei dati Istat sul lavoro –, secondo cui gli italiani mantengono un atteggiamento diffidente nei confronti della ripresa, compresa quella occupazionale.
L'incertezza vince su tutto, spiega senza girarci troppo intorno il Censis: "Il 93,9% degli italiani si sente insicuro rispetto al proprio futuro, l'87,2% rispetto al rischio disoccupazione, l'85,4% rispetto alla possibilità di sperimentare difficoltà di reddito, il 77,5% rispetto al rischio di non autosufficienza nell'età avanzata, il 74,1% per la propria vecchiaia, il 63,4% per la propria salute".
Restando sul tema lavoro – che in definitiva comprende anche gli altri spunti di riflessione – il miglioramento registrato dall'Istat (tasso di disoccupazione al 12,4% nel mese di aprile, -0,2 rispetto a marzo) è comunque un punto di partenza positivo. Intanto perché, se si considera il primo trimestre dell'anno, a crescere è soprattutto il numero di occupati (+133 mila unità, su base annua) e in secondo luogo perché l'aumento riguarda entrambe le componenti di genere e tutte le ripartizioni territoriali, in particolare Nord e Mezzogiorno.
È lecito recuperare una parte di ottimismo svanita negli anni della crisi, dunque? Sì, a patto che non si abbassi la guardia. Se il peggio è alle spalle, il meglio deve ancora venire. E tasti dolenti non mancano: nell'industria in senso stretto, dopo la crescita dei tre trimestri precedenti, l'occupazione si riduce su base annua dello 0,9% (-42 mila unità). Nelle costruzioni, per il diciannovesimo trimestre (ma con minore intensità, come suggerisce l'Istat), prosegue la flessione degli occupati (-1,2%, -17 mila unità). L'aspetto da non trascurare affatto, però, è che nel Mezzogiorno si evidenzia una controtendenza in questo senso.
Altro dato interessante è la crescita nel numero degli occupati tra gli ultra 50enni (+5,3%) che si contrappone al calo degli occupati nelle classi di età 15-34 anni e 35-49 anni (rispettivamente -1,7% e -1,4%). Inoltre nel primo trimestre 2015 il numero di lavoratori a tempo pieno registra di nuovo un incremento di 104 mila unità (+0,6%) mentre prosegue a ritmo meno sostenuto la crescita degli occupati a tempo parziale, trend ad ogni modo ininterrotto dal 2010.
L'Ocse colloca l'Italia al quarto posto per percentuale di disoccupati di lunga durata (vale a dire le persone che non lavorano da un anno o più) sul totale dei senza lavoro. Stando agli ultimi dati Istat è il 57,1% dei disoccupati a cercare lavoro da 12 mesi o anche oltre (quando era il 58,7% nel primo trimestre 2014). Ma in generale nel primo trimestre del 2015, dopo quattordici trimestri di crescita, diminuisce il numero di persone in cerca di occupazione (-4,2% in un anno). Riassorbire nel mercato del lavoro persone e competenze, superando perciò l'effetto combinato di scoraggiamento e difficoltà occupazionali, significa favorire una migliore dinamicità, evitando così la creazione di disoccupazione strutturale.