Anche l'OCSE prevede che un eventuale incremento sarà comunque “modesto”
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L'ISTAT lo certifica ormai da tempo: il tasso annuo di crescita dei salari è il più basso dal 1982. Le cose non dovrebbero migliorare da qui a breve, l'Organizzazione per lo sviluppo economico (OCSE) prevede infatti che un'eventuale crescita delle retribuzioni sarà comunque "modesta". A farne le spese, ovviamente, sono i lavoratori e il loro potere d'acquisto.
A settembre, informa l'ISTAT, la retribuzione lorda per ora lavorata (dati destagionalizzati) registra nelle grandi imprese – ovvero in quelle con almeno 500 dipendenti nella media dell'anno base – una diminuzione dell'1,4% rispetto ad agosto. Crescono dell'1% rispetto a settembre 2013 la retribuzione lorda e il costo del lavoro per dipendente (la somma delle retribuzioni lorde, dei contributi sociali, delle provvidenze al personale e degli accantonamenti per trattamento di fine rapporto al netto dei dipendenti in Cassa integrazione guadagni).
Complessivamente l'indice delle retribuzioni contrattuali orarie hanno registrato alla fine d'ottobre un incremento tendenziale dello 0,1% rispetto al mese precedente e dell'1% su base annua. I salari restano al palo, quindi.Tuttavia, come sottolineato in precedenza, ad una retribuzione nominalmente più elevata non corrisponde un maggiore potere d'acquisto (ovvero la differenza tra il reddito da lavoro e il prezzo dei servizi o beni acquistati).
Secondo uno studio condotto da Tito Boeri della Bocconi, Andrea Ichino dell'Istituto universitario europeo ed Enrico Moretti dell'università californiana di Berkeley (Housing, Real Inequality and Mobility), la provincia di Bolzano, dove i salari nominali sono i più elevati del Paese, occupa il 92esimo posto della classifica dei salari reali, che tengono conto delle differenze territoriali del costo della vita. Discorso opposto per Crotone: la provincia calabrese passa infatti dalla posizione 95 della graduatoria dei salari nominali alla seconda di quelli reali; ad un passo quindi dalla capolista Caltanissetta e davanti a Enna, Biella, Siracusa, Pordenone, Vercelli, Taranto, Vibo Valentia e Mantova. Notare bene: tra le dieci province italiane con i più alti salari reali ben sei sono meridionali.
Citiamo un esempio dello studio e che prende in considerazione il salario nominale di un maestro di scuola elementare con cinque anni di anzianità (pari a 1.305 euro mensili in tutte le regioni del Paese) per poi applicarlo ai casi di Milano e Ragusa. Il compenso dell'insegnante, in base al diverso indice dei prezzi al consumo delle due città, corrisponde così a 1.051 nel capoluogo lombardo e a 1.549 nella città siciliana. Per poter pareggiare il potere d'acquisto del collega, l'insegnante milanese dovrebbe quindi ricevere un compenso superiore del 48%.
Non sempre, precisa chi ha condotto la ricerca, un salario reale più consistente corrisponde ad una migliore qualità della vita: per godere di un servizio sanitario della stessa qualità di Milano, un cittadino di Ragusa dovrebbe spendere 18,7 volte di più.
In passato, le cose andavano diversamente nel nostro Paese. Dal 1945 al 1969 venne infatti utilizzato il meccanismo delle gabbie salariali. Seguendo questo schema, il territorio nazionale fu diviso in 14 aree (dimezzate nel 1961) dove si riconoscevano diversi livelli salariali calcolati in relazione al costo della vita. I salari, il cui scarto tra il primo e l'ultimo livello venne ridotto dal 29 al 20% all'inizio degli anni 60, furono così minori al Sud rispetto al Nord.