Il gruppo di Cologno Monzese inviterà Sky e gli altri operatori a pagare per trasmettere i propri canali: "Rappresentano un valore aggiunto"
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La presenza delle reti generaliste nell'offerta delle tv a pagamento rappresenta un valore aggiunto. Per questo Mediaset aprirà presto un confronto con Sky per chiedere la retransmission fee, ossia il pagamento di un compenso per continuare a trasmettere i propri programmi. Non si tratta di una novità assoluta: in Usa accade dal 1992 mentre in Germania le tv free ricevono circa 100 milioni di euro dalle piattaforme pay.
"La recente delibera dell'Agcom sul rapporto Rai-Sky ci consegna un nuovo fondamento giuridico per tornare a chiedere, come già in passato, un accordo commerciale con chiunque utilizzi i nostri programmi - spiega Gina Nieri, consigliere di amministrazione di Mediaset -. Per queste piattaforme, infatti, l'utilizzo della nostra programmazione rappresenta un vantaggio competitivo e un ampliamento della propria offerta".
I numeri, presentati da Federico Di Chio, direttore marketing strategico di Mediaset, evidenziano l'importanza della tv generalista per la piattaforma a pagamento: "Se consideriamo le sole famiglie abbonate a Sky, notiamo come il 62,1% dello share sia rappresentato da contenuti free. Tutte le sette reti generaliste, Rai 1 e Canale 5 in testa, sono nella Top10 dei canali più visti. E tra i 30 programmi con maggiore ascolto del primo semestre del 2015 solo due sono stati trasmessi da canali a pagamento".
Come detto, la retransmission fee non rappresenta una novità. A Berlino si parla, per l'anno 2015, di una cifra tra i 105 e i 110 milioni di euro, considerata da Federico Di Chio congrua anche per il mercato italiano. In Gran Bretagna, invece, si ragiona su numeri molto più alti, come ha sottolineato Emilio Pucci, direttore dell'e-media institute. "Nel Regno Unito le tv gratuite hanno chiesto a Sky, Virgin Media e agli altri fornitori di pay-tv circa 200 milioni di sterline come ricompensa del valore conferito alle stesse piattaforme dai canali gratuiti - ha detto Pucci intervenendo al workshop 'Rompere gli indugi: la protezione dei contenuti tv in un mondo che cambia' -. Negli Stati Uniti, dove una remunerazione è prevista fin dal 1992, si prevede che nel 2019 il 25% degli introiti dei broadcaster arriverà proprio dalla retransmission fee".
La guerra alla pirateria - Proseguono intanto le battaglie legali promosse da Mediaset per proteggere i propri contenuti originali, spesso riprodotti illecitamente in Rete. Se Facebook, dopo una diffida, ha iniziato la rimozione di programmi come Amici e Striscia postati sul social network, è attesa per settembre la sentenza per la prima grande causa intentata dal gruppo, nel 2008. Mediaset chiede un risarcimento di 500 milioni di euro per la presenza dei propri programmi su YouTube e Google.
Altre cause, negli anni, sono state presentate contro Yahoo, L'Espresso, Daily Motion e VCast: "Grazie alla tutela determinata dei nostri contenuti online, oggi i video Mediaset si possono vedere, gratuitamente, solo sui siti del gruppo o su portali che hanno stretto accordi commerciali con noi - ha aggiunto Gina Nieri -. In questo modo Mediaset è diventata il maggior editore per video fruiti online dai propri siti con 4,7 milioni di video visti al giorno, circa 1,5 miliardi all'anno. La nostra è anche una battaglia culturale: i ricavi ottenuti diventano infatti nuovi prodotti. Se la pirateria non viene fermata ci aspetta un futuro in cui la creatività non potrà più venire ricompensata".